Licenziamento a seguito di riduzione dell’attività e soppressione del posto di lavoro: è legittimo.

In caso di riduzione dell’attività volta a conseguire un calo dei costi ed un miglioramento dei profitti, è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore, a seguito di soppressione del posto di lavoro con ripartizione delle mansioni tra il personale in servizio (Corte di Cassazione, Sentenza 30 novembre 2022, n. 35225).
Il caso
La Corte di appello di Milano confermava la legittimità del licenziamento intimato ad un pizzaiolo dalla società datrice di lavoro, motivato dalla soppressione del posto di lavoro con ripartizione delle mansioni tra gli altri dipendenti ed i soci al fine di conseguire un calo dei costi ed un miglioramento dei profitti.
Il giudice di secondo grado riteneva che le ragioni poste a fondamento del licenziamento fossero state adeguatamente e sufficientemente esposte nella comunicazione resa al lavoratore; le stesse, in particolare, erano state provate nel corso dell’istruttoria svolta e non apparivano pretestuose.
Quanto alla esistenza di posizioni alternative
nelle quali collocare il lavoratore, in adempimento dell’obbligo di
repechage, ed alla eccepita violazione dei criteri di scelta, la Corte
territoriale riteneva che effettivamente la posizione del lavoratore in
questione era unica e che nessuno era stato successivamente assunto per
essere adibito alle medesime mansioni.
Per la cassazione della
sentenza il pizzaiolo ha proposto ricorso, lamentando che il giudice di
appello aveva erroneamente ritenuto assolto l’onere datoriale di provare
l’impossibilità di riutilizzare il lavoratore in altre mansioni, alla
luce del fatto che, nel corso dell’istruttoria, era emerso che lo
stesso, rimasto assente per malattia per un periodo, al suo rientro era
stato adibito allo svolgimento di mansioni diverse da quelle di
pizzaiolo in precedenza svolte.
Pertanto, era onere della datrice di
lavoro dimostrare che non vi erano posizioni, neppure con riguardo a
mansioni inferiori alle quali era stato in maniera promiscua comunque
adibito, cui assegnare il lavoratore. Inoltre, secondo la tesi del
dipendente, non essendo state soppresse le mansioni ma piuttosto ridotto
il personale per una ottimizzazione dei costi, la società avrebbe
dovuto procedere ad una valutazione comparativa dei diversi lavoratori
per addivenire alla scelta di quello da licenziare.
La decisione della Corte
La Suprema Corte ha ritenuto infondata la doglianza, rilevando preliminarmente che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del “repéchage”, gravando la prova della impossibilità di ricollocamento sul datore di lavoro, tuttavia, una volta accertata, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, tale impossibilità, la mancanza di allegazioni del lavoratore circa l’esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il quadro probatorio.
Pertanto, se è vero che, soppressa la posizione
lavorativa e redistribuite le mansioni svolte, nel caso in cui residuino
altre mansioni pure assegnate al lavoratore in passato, queste possono
costituire il contesto nel quale ricollocarlo, non poteva trascurarsi
che, nel caso in esame, la Corte di appello aveva accertato che la
posizione lavorativa del pizzaiolo ricorrente era stata soppressa e le
mansioni erano state redistribuite tra i soci.
Tale accertamento,
insindacabile in sede di legittimità, peraltro, era stato condotto
tenendo specificatamente conto delle caratteristiche della società
datrice di lavoro, un’attività produttiva estremamente semplice e
gestita in ambito familiare. Condivisibili, dunque, dovevano ritenersi
le conclusioni raggiunte dalla Corte distrettuale, la quale aveva
verificato che le altre mansioni indicate erano assolutamente residuali e
comunque erano state affidate al ricorrente in maniera saltuaria e
occasionale.
Infine, avendo verificato che non vi erano state nuove
assunzioni successivamente al licenziamento del lavoratore in parola, i
giudici di merito avevano ritenuto confermata la dedotta riduzione
dell’attività per far fronte al calo dei costi e per conseguire un
miglioramento dei profitti.
In definitiva immune da censure doveva ritenersi la sentenza impugnata che, aderendo ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, aveva ravvisato il giustificato motivo oggettivo di licenziamento nell’andamento economico negativo dell’azienda che aveva comportato la soppressione del posto di lavoro e che le ragioni addotte dal datore di lavoro a sostegno della modifica organizzativa da lui attuata avevano effettivamente inciso, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato.