Il Governo Gentiloni ottiene il via libera dalle camere.
Ma per andare dove?

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Un governo muore e un governo nuovo nasce; ma è davvero nuovo?  Possiamo dire che il governo Gentiloni è davvero un governo diverso da quello che lo ha preceduto, cioè da quello di Renzi?

In tempi record, come era nelle intenzioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella soddisfatto per una “soluzione rapida e lineare” della crisi, nasce il governo Gentiloni. Diciotto i ministri con 5 new entry e la riconferma di tutti gli uscenti tranne il ministro Stefania Giannini e Maria Elena Boschi che diventa sottosegretario alla presidenza del consiglio. “Ci mettiamo subito al lavoro sui problemi del paese”, è la priorità del neo-premier che, dopo il giuramento al Quirinale, il tradizionale passaggio della campanella con Matteo Renzi e il primo Cdm a Palazzo Chigi, oggi chiederà la fiducia alle Camere per ottenerla entro mercoledì. E avrà numeri solidi a Montecitorio ma meno al Senato dove Verdini ha annunciato che farà mancare l’appoggio di Ala in assenza di una presenza al governo.

Cinque donne ministre – oltre alle confermate Madia, Lorenzin e Pinotti ( a cui va aggiunta la sottosegretaria alla Presidenza, Boschi) ,   entrano le senatrici Pd Anna Finocchiaro e Valeria Fedeli – 14 uomini con il trasloco di Alfano alla Farnesina e l’arrivo di Marco Minniti agli Interni comporranno l’esecutivo nato dopo le dimissioni di Matteo Renzi. E che, come annuncia Gentiloni, avrà come priorità il disagio sociale, l’occupazione al sud, per cui – anche se senza portafogli –  nasce un ministero ad hoc guidato da Claudio De Vincenti , l’innovazione e la ricostruzione del dopo-terremoto oltre al nodo banche. Ruolo solo di “facilitatore”, invece, chiarisce il neo-premier, rispetto alla ricerca di un’intesa tra i partiti sulla legge elettorale per la quale si spenderà soprattutto il neo-ministro per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro.

I nodi di questo esecutivo restano i medesimi del precedente e le conferme dei ministri  “chiave” (lavoro, pubblica amministrazione, sanità) del precedente  esecutivo ai rispettivi posti sancisce che, sostanzialmente,  la linea non cambia, ma l’orizzonte, invece, probabilmente  si. Ed è lo stesso Ministro del lavoro a confermarlo senza mezzi termini il medesimo giorno dell’insediamento: un ritorno al voto per il rinnovo delle Camere, che farebbe slittare il referendum.  È vero che la Consulta ancora non si è espressa sui quesiti per il referendum sull’abolizione del Jobs act – lo farà l’11 gennaio – ma molti scommettono che la Corte darà l’ammissibilità del quesito. In quel caso si andrebbe a votare in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2017. A meno di un ritorno al voto per il rinnovo delle Camere, che farebbe slittare il referendum di almeno dodici mesi.

Sul nuovo Governo Gentiloni, quindi,  il macigno il rinnovo dei contratti della P.A. e l’intero ambito della riforma del lavoro pubblico,  che doveva essere il fiore all’occhiello di Renzi e del suo mandato (e che invece, la Consulta, ha  smontato praticamente in tutti i suoi capisaldi ),  potrebbe pesare relativamente poco. E questo per la semplice ragione che non avrebbe proprio il tempo per trattare la questione; e ciò alla faccia dell’accordino con la mancetta elettorale del 30 novembre scorso, sottoscritto prima della “catastrofe politica” del referendum.  I problemi infatti sono tanti: mancano le direttive per i quattro comparti della pubblica amministrazione, che il ministero deve inviare all’Aran e, entro febbraio, dovrebbe essere varato il testo unico sul pubblico impiego previsto dalla riforma e necessario per superare le previsioni della legge Brunetta sulla distribuzione del salario accessorio; ma dopo l’intervento della consulta serve l’accordo della conferenza stato regioni e per l’accordo serve tempo, che il governo sembra non avere.

La bocciatura del Jobs act, sconfesserebbe del tutto il triennio di Renzi a palazzo Chigi, e azzopperebbe le sue possibilità di «rivincita» compromettendone la corsa alle successive elezioni. Certo, la Consulta deve ancora pronunciarsi. Certo, il governo proverà a correggere parti della legge per tentare di far saltare il referendum. Certo, stavolta la consultazione per essere valida avrebbe bisogno di superare il quorum. Ma a parte l’incognita della Corte, a parte l’impossibilità per l’esecutivo di reintrodurre l’articolo 18, a parte il nodo dell’affluenza alle urne, nella maggioranza si scorge il rischio. Per evitare la prova, almeno per posticiparla, ci sarebbe una sola soluzione: andare al voto in primavera.

E questa sembra proprio la strada delineata da Renzi  all’assemblea del PD; dunque, alla faccia di quelli che si illudono che non sia così, un governo a termine la cui fine è già praticamente annunciata.

Il Segretario Generale

Adamo Bonazzi