Il 16 marzo è ricorso il quarantennale del rapimento dell’onorevole Aldo Moro e del massacro della sua scorta.

Numerose sono state le celebrazioni per ricordare quei tragici eventi, tutte caratterizzate da toni semplici, asciutti, composti.

La cronaca di allora è diventata storia, seppure non del tutto chiarita, e,  insieme al dolore mai sopito dei familiari delle vittime, si è negli anni sedimentata in milioni di italiani la coscienza del totale rifiuto di tutte le stragi che hanno funestato gli anni bui del terrorismo e la ferma determinazione al non volerli mai più rivivere.

Lo stesso giorno, a Firenze, nel presentare il suo libro dal titolo “L’ho sempre saputo”, la brigatista rossa Barbara Balzerani parlando dei parenti dei caduti per mano dei terroristi diceva:  “C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere, questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola”.

Permane, in queste parole, il profondo disprezzo della vita altrui, l’intolleranza per le idee diverse dalla propria: in altre parole, l’intero campionario della retorica terroristica che ha armato la mano di tanti assassini.

Ci sembra di vedere, viceversa, che un mestiere assai redditizio sia quello dei cosiddetti ex terroristi, che presentano libri, tengono conferenze, convegni, ostentando una immutata superbia provocatoria, al punto che viene da chiedersi quanto siano realmente “ex” e se non sia stato un errore rimetterli in circolazione, a dispetto delle condanne all’ergastolo che si sono guadagnati con le loro gesta.

Questa considerazione rimanda al problema dell’applicazione dell’ordinamento penitenziario, una normativa sicuramente avanzata ma che necessita, per una sua corretta implementazione, di un adeguato numero di operatori specializzati all’interno degli istituti penitenziari e  servizi di strutture adeguate che permettano ai ristretti di poter svolgere le attività risocializzanti quali il lavoro, lo studio e lo sport previste dalla stessa normativa.

Oggi tutto questo è fortemente carente: manca il personale di polizia penitenziaria e quello dell’area psico/pedagogica trattamentale, informatici, contabili, risorse finanziarie; mancano gli spazi per le attività sportive, poche sono le opportunità lavorative in rapporto all’alto numero dei ristretti.

Tutto ciò rende estremamente arduo il lavoro del personale penitenziario e riduce le possibilità di recuperare i condannati, specialmente in relazione al nuovo modello organizzativo della sorveglianza dinamica che sta facendo registrare un impressionante aumento degli episodi di violenza nei confronti del personale di polizia penitenziaria

Per questi motivi, urgono nuove e mirate assunzioni di personale dei due comparti, sicurezza e ministero, con la contestuale esigenza di riunire tutti gli operatori penitenziari all’interno dello stesso comparto, facendo confluire il personale del comparto ministeri nei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria.

In conclusione, ritornando a quanto evidenziato all’inizio, vogliamo ricordare che il 21 marzo è stato il giorno in cui si celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie: come per le vittime del terrorismo, la memoria deve rimanere viva e deve essere tramandata ai giovani, a quelli che non c’erano, affinché il sacrificio di tante vittime innocenti possa servire da esempio e da monito alle nuove generazioni cui la storia consegna l’arduo compito di costruire il futuro della  nostra Nazione.

Il Coordinatore Nazionale
Paola Saraceni
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