Individuare una colpa è facile.
E’ fare meglio che potrebbe diventare difficile
(Plutarco, I sec. d.c.)

Al Ministro interessato

Gentile Ministro,

abbiamo seguito con grande interesse le sue esternazioni in merito al destino dei pubblici dipendenti ed alle soluzioni da Lei individuate nel cd. DDL Concretezza, volte a migliorare l’efficienza della nostra amministrazione. Certi della solidità delle Sue intenzioni, ci pregiamo di sottoporLe questo contributo, alla luce della nostra esperienza, maturata all’interno degli uffici pubblici

In primis, nel salutare con entusiasmo l’annuncio relativo alle nuove assunzioni, riteniamo doveroso evidenziare che la carenza di risorse umane è solo una delle cause della cronica inefficienza che in tanti lamentano. Concordiamo con Lei che “se continuiamo a tagliare la pubblica amministrazione, che è il cuore del Paese è chiaro che non funzionano i servizi e che nessuno viene ad investire in un paese paralizzato[1]. Ma la priorità per ogni organizzazione umana che voglia anche solo pensare ad un reale cambiamento è quella di valorizzare le risorse esistenti: non ci sembra di rinvenire nulla in proposito nel testo del DDL diramato alla stampa.

Registriamo l’intento (vagamente vessatorio, ma tant’è, sono anni che la linea è questa) di punire i fannulloni tramite il rilevamento delle presenze con modalità biometriche: un’operazione peraltro molto costosa e che inciderà pochissimo sull’efficienza, dato che i veri fannulloni (tanti, come dice Lei, o pochi, come risulta a noi) troveranno certamente il modo di proseguire nella loro personale inefficienza anche seduti ad una scrivania. Come sostengono tutti gli esperti di organizzazione aziendale, gli anticorpi per tale malcostume (che non è tipico solo del settore pubblico!) devono essere rinvenuti e potenziati dall’interno: e il primo passo è valorizzare la professionalità di chi già oggi lavora con intelligenza, impegno, disponibilità e competenza.

Avevamo letto che era Sua intenzione muoversi su tre direttrici: far entrare nuove energie nella pubblica amministrazione, far lavorare chi non lavora e far lavorare meglio chi invece lavora.[2] Un’intenzione che dà il nome allo stesso DDL, denominato “concretezza” proprio perché mira, come da Lei affermato, a “porre fine a riforme fumose destinate a restare sulla carta[3]. Ma nel testo del DDL, oltre agli interventi sulle prime due direttrici (assunzioni e controllo) non ci pare di leggere alcun progetto in merito alla terza. Ci chiediamo pertanto e Le chiediamo: cosa intende fare, in concreto, per far lavorare meglio chi lavora? Un disegno di legge che vuole accrescere l’efficienza di un’impresa, pubblica o privata che sia, non può prevedere investimenti così imponenti sul controllo (tramite un “Nucleo per la concretezza”, dotato peraltro di poteri e competenze la cui efficacia è tutta da verificare sul campo) e sulle nuove risorse, senza spendere nemmeno una parola sull’ottimizzazione dell’esistente! Non ha pensato, signor Ministro, che tutte le figure che si prepara ad assumere ex novo, potrebbe averle già?

In merito alla digitalizzazione, concordiamo con Lei che si tratta di una realtà ancora a macchia di leopardo, tra eccellenze e flop e che, come Lei stessa afferma, si sono create aspettative enormi tutte andate deluse[4]. Ma le prime vittime di tale fallimento sono gli stessi dipendenti pubblici, costretti ad apprendere da autodidatti il funzionamento di programmi e procedure imposte senza alcuna formazione degna di questo nome, che hanno complicato non poco il loro lavoro, con scarso ritorno in termini di efficienza. Concordiamo con Lei sul fatto chela digitalizzazione è la vera rivoluzione della pubblica amministrazione, ma è un processo che richiede tempo e noi siamo solo all’alba (..). Se è vero tuttavia che “La digitalizzazione si farà e non dovrà riguardare solo i geni dell’informatica o i giovani. La grande riforma Bongiorno sarà combattere per una digitalizzazione che includa tutti” [5], riteniamo che nel concetto di “tutti” Lei abbia voluto ricomprendere anche i suoi dipendenti: lavoratori che da anni assistono, impotenti, a riforme calate dall’alto, che hanno sottratto agli uffici competenze rilevanti per assegnarle a ditte esterne, sul presupposto (ormai da tempo rivelatosi infondato) che gli altri (i “privati”) potessero garantire lo stesso risultato a costi minori.

Eppure, nonostante la frustrazione, il blocco del turn-over, le riforme digitali incomprensibili e incomplete, l’assenza di programmazione e di formazione adeguata, i pubblici dipendenti sono riusciti a fornire servizi in molti casi di qualità notevole e con punte di eccellenza. Ciò significa che fra loro ci sono certamente profili professionali dotati delle necessarie competenze digitali, organizzative e di controllo: perché non iniziare a valorizzare la professionalità di chi, oggi in servizio, già possiede tali competenze? L’informatizzazione è una realtà in cui crediamo e con cui abbiamo già fatto i conti da anni, verso cui siamo pronti a fare la nostra parte, senza alcun pregiudizio né resistenza alcuna: non vorremo che si proseguisse nell’errore di pensare che le soluzioni possano arrivare solo dall’esterno.

Con il termine “professionalità” i dizionari indicano la qualità di chi svolge il proprio lavoro con scrupolosità, competenza e adeguata formazione teorica e pratica. Per i giuslavoristi e gli esperti di organizzazione aziendale, il termine si traduce in adattabilità, autonomia decisionale, capacità di intervenire sull’organizzazione del lavoro per apportare modifiche migliorative[6]. Lungi dal risolversi in una competenza particolare e, dunque, nella specializzazione[7], il termine indica non il solo saper fare, ma il sapere come fare e, addirittura, il saper essere.[8] Siamo sicuri di non esagerare nell’affermare che la maggior parte dei pubblici impiegati possiede questi requisiti: ma nelle realtà in cui si trovano ad operare essi vengono sviliti e mortificati dall’indifferenza del sistema verso la valorizzazione delle competenze e da una contrattazione che da anni mira a rendere tutti intercambiabili, distribuendo a pioggia meriti e demeriti! A ciò si è aggiunta nel tempo la costante disattenzione per la gestione dinamica della professionalità, cioè quella acquisita con l’esperienza, in un sistema classificatorio che non è in grado di svolgere alcuna funzione promozionale delle capacità individuali, destinate ad un inesorabile appiattimento retributivo e professionale.[9]

In definitiva, riteniamo che in un “decreto concretezza” degno di questo nome sia necessario partire da quello che c’è già: nessun nuovo arrivato potrà da solo, per quanto bravo e compente, far sbocciare magicamente un’efficienza ed un’efficacia che è possibile far ripartire solo dall’interno, con una politica del personale finalmente improntata al rispetto ed al riconoscimento del valore di chi è tutti i giorni in prima linea negli uffici. Per ogni azienda avere dipendenti soddisfatti, che si sentano valorizzati e partecipi della realtà che li circonda, è una vera e propria necessità: tutti gli analisti di organizzazione concordano su questo punto, perché quando facciamo il nostro lavoro con serenità e sentendoci apprezzati, diamo il meglio di noi. Puntare alla valorizzazione dei propri dipendenti dunque è davvero la migliore strategia per incrementare l’efficienza e la qualità del prodotto finale, che nel nostro caso è un servizio reso peraltro in regime di monopolio, quindi fondamentale per il corretto funzionamento dell’intero sistema nazionale.

In merito al reclutamento delle nuove leve, certamente necessario dopo oltre dieci anni di turn-over bloccato, riteniamo opportuno ridimensionare le attese in termini di risultato: tutti gli studi aziendali hanno infatti rilevato che se assumere nuovi “talenti” significa certamente rinvigorire la cultura aziendale, tale opzione non concretizza di per sé l’efficienza attesa, in quanto è necessario tenere conto, oltre che dei tempi per la procedura di selezione, anche dei costi occulti necessari per l’integrazione del nuovo personale e il raggiungimento della sua piena e produttiva operatività. Un aspetto quest’ultimo che, come per tutti i fattori umani, implica un risultato comunque incerto. Nel procedere a nuove assunzioni, riteniamo nel contempo, una verifica in profondità della situazione che riguarda il personale in servizio, volta a capire quali, delle professionalità presenti, possono essere già in grado di avviare il cambiamento.

Riteniamo infine indispensabile evidenziare che ogni organizzazione costretta ad affrontare un cambiamento, interno o imposto dall’esterno, entra inevitabilmente in crisi. Se il processo di cambiamento è gestito senza la dovuta attenzione alle persone, le conseguenze possono essere molto costose in termini di efficienza: confusione, mancanza di riferimenti, rallentamento dei processi. Nasce una serie di domande: in che direzione stiamo andando? Come dobbiamo comportarci, ora? Cosa stiamo diventando?

Il progetto di riforma volto alla “concretezza” non può pertanto prescindere dagli aspetti psicologici e organizzativi conseguenti al cambiamento che verrà imposto agli uffici e deve preparare risposte capaci di far fronte all’impatto delle innovazioni sul personale esistente, il quale, bene o male e nonostante tutto, ha saputo garantire, fino ad oggi, un grado di efficienza nel complesso più che accettabile a fronte di risorse da anni molto scarse.

Parafrasando Plutarco, individuare le colpe è impresa facilissima: ma è fare meglio (senza fare peggio) che potrebbe diventare invece molto difficile!

 

P/ Il Coordinamento Quadri Direttivi FSI- USAE
Dr.ssa Maria Gandini
Direttore amministrativo del Ministero della Giustizia

 

[1] https://www.corrierecomunicazioni.it/pa-digitale/bongiorno-assumeremo-450mila-persone-nella-pa-faro-sulle-e-skill/

[2] http://gds.it/2018/08/21/assunzioni-e-turn-over-nel-pubblico-bongiorno-servono-persone-o-le-riforme-restano-sulla-carta_903312

[3] link cit. in nota 1

[4] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/13-07-2018/dirigenti-statali-si-cambia-rigore-e-giudizi-dei-cittadini

[5] link in nota 4

[6] http://amsdottorato.unibo.it/3645/1/murrone_maria_giovanna_tesi.pdf (pag. 14)

[7] La quale individua un “insieme di mansioni predefinite che esigono un certo tasso impersonale, più o meno alto, di conoscenze tecniche”. G. LOY, Professionalità e rapporto di lavoro, in M. NAPOLI (a cura di), La professionalità

[8] Così A. GORZ, L’immateriale, Torino, 2003; NEGRELLI S., Il lavoro che cambia: dal sapere fare al saper essere, in Sociologia del lavoro, 2005, 214.

[9] http://amsdottorato.unibo.it/3645/1/murrone_maria_giovanna_tesi.pdf (pag. 136)