L’Italia, per uscire dal guado, ha bisogno di capire in quale direzione muoversi  e l’attuale maggioranza  non sembra in grado  di indicare la via per le opposte visioni.  Perché, invece, la nostra soluzione  è la più credibile.

Il nuovo tema di divisione riguarda le “vecchie” Province, “svuotate” dalla riforma Delrio nel 2014. Ad aprire il dibattito un’anticipazione del Sole 24 Ore, secondo cui il ritorno all’elezione diretta di circa 2.500 presidenti e consiglieri provinciali è il “piatto forte” dell’ultima bozza delle linee guida per la riforma degli enti locali cui stanno lavorando M5s e Lega. Matteo Salvini ha ribadito la posizione della Lega: “L’abolizione delle Province è una buffonata che ha portato disastri soprattutto nelle manutenzione di scuole e sulle strade – ha attaccato il capo della Lega – Vogliamo dare un servizio ai cittadini e se Comuni e Regioni non ce la fanno servono le Province”. Agli antipodi Di Maio che ha risposto una nota pungente: “Le Province si tagliano. Punto. Ogni poltronificio deve essere abolito. Efficienza e snellimento, questi devono essere i fari. Questa è la linea del M5s”.

Medesimo Governo ma con due visioni diametralmente opposte e, secondo noi, entrambe profondamente sbagliate.  Anche se ognuno dei contendenti dice una parziale verità: le province servono, su questo ha ragione Salvini.  Ma, ogni poltronificio deve essere abolito e su questo ha ragione Di Maio.

L’Italia, infatti,  per uscire dal guado ha bisogno di capire in quale direzione muoversi  e l’attuale maggioranza  non sembra in grado  di indicare la via per le opposte visioni.   Ma il nostro paese è, costituzione alla mano, una repubblica di tipo federalista.  Anche se, a causa della confusione mentale sull’argomento che ha sempre regnato nei nostri rappresentanti  parlamentari degli ultimi venti anni,  tale enunciato costituzionale non è mai stato effettivamente attuato. Le diverse fazioni parlamentari  di centro-destra e di centro-sinistra che si sono avvicendate negli anni, infatti,  si sono prodigate in tentativi di riforme dello stato, molto complesse,  che non hanno mai trovato una maggioranza  parlamentare qualificata e che, alla fine dei conti, hanno fatto paura ai cittadini che le hanno bocciate nei previsti referendum confermativi.  Il risultato è un paese nel guado. Un paese che non ha mai capito bene la differenza fra la macchina amministrativa  che lo fa funzionare e la politica che lo governa e che spesso ha scaricato sulla prima (i dipendenti) le inefficienze e le arroganze della seconda (la politica)  con il risultato che nel caso delle province ha finito per tagliare le spese smantellando un sistema amministrativo che bene o male funzionava  mantenendo un sistema elettivo, che non serviva,  per la classe politica.

L’Italia è federalista: ne devono prendere atto anche i più fervidi sostenitori del centralismo. Il tentativo di Renzi di tornare parzialmente indietro,  al passato, è miseramente fallito ed è costato il posto al povero Renzi. Nessun politico che abbia a cuore la sua posizione ci ritenterà nel breve periodo.  E, ça va sans dire, in uno stato federale è il Governo centrale a dover retrocedere funzioni e competenze e non viceversa.

Questa organizzazione sindacale, evidentemente lungimirante,  ha indicato la strada sin dal 2010 con la propria mobilitazione e la relativa petizione alle camere. Avevamo ragione già allora  e la posizione storica della FSI-USAE  risulta, ancora una volta, la più  equilibrata e corretta in campo, la più sostenibile: non abolire le province, ma bensì, abolire i consigli provinciali sostituendoli con un organismo composto dai sindaci dei comuni della medesima provincia, lasciando inalterata la macchina amministrativa che amministrava  il territorio e funzionava.

Peraltro questa soluzione accontenta i desiderata “ufficiali”  sia del VicePremier  Salvini che quelli del VicePremier  Di Maio.

Adamo Bonazzi
Sgretario Generlale FSI-USAE