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Il Coordinatore Nazionale della FSI USAE Funzioni Centrali ha scritto al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Basentini e al Direttore Generale del Personale e delle Risorse Del DAP Massimo Parisi in merito alle drammatiche rivolte che hanno visto circa 30 istituti rimanere per ore in balia dei detenuti

La giornata del 9 marzo 2020 resterà sicuramente nella storia delle carceri italiane come una delle più nere, quella che dal nostro punto di vista ha segnato un punto di non ritorno.

Le drammatiche rivolte, che hanno visto circa 30 istituti rimanere per ore in balia dei detenuti, con un bilancio che assomma morti, evasioni, danni per milioni di euro, hanno dimostrato il fallimento completo e definitivo di alcune scelte scellerate adottate da tanti anni.

Ci riferiamo in primis al DPCM 1 aprile 2008 che ha trasferito al Servizio Sanitario Nazionale le competenze in materia di sanità penitenziaria. Una scelta, che ha cancellato un enorme patrimonio di esperienza e di professionalità specifiche, andando ad intasare i servizi sanitari pubblici, che in molte regioni erano già in forte sofferenza, aggravando oltremodo il lavoro degli istituti con le quotidiane traduzioni dei detenuti presso i presidi medico-ospedalieri.

La reazione dei detenuti al blocco temporaneo dei colloqui con i familiari, deciso per tutelare la loro salute, atteso che non si contano ancora (ma per quanto?) casi positivi al COVID-19 tra gli stessi, ha scatenato una reazione violenta ed inaudita, che la presenza costante del presidio sanitario in carcere avrebbe probabilmente saputo prevenire, attraverso un’opera di sensibilizzazione che gli esperti (medici, infermieri, personale socio-sanitario) avrebbero potuto mettere in atto.

Ma ci chiediamo: nel non auspicabile caso che qualcuno tra i detenuti risultasse positivo e avesse già iniziato a contagiare i compagni, cosa succederebbe alle strutture sanitarie, che dovrebbero ovviamente farsi carico della cura e del ricovero esterno di questi malati, non potendo più contare sugli ottimi centri clinici una volta esistenti presso molti istituti?

E’ di tutta evidenza che, mai come in questi giorni, la riforma della sanità penitenziaria stia mostrando tutti i suoi limiti, peraltro emersi chiaramente nel corso degli oltre dieci anni della sua vita, con le forti sperequazioni tra le diverse regioni, che non sono riuscite a garantire lo stesso trattamento per tutti i detenuti malati.

Ma, i gravissimi disordini odierni hanno mostrato anche il fallimento di un altro provvedimento, più recente: la sorveglianza dinamica, adottata con il D.l. n. 78 del 1 luglio 2013, emesso in risposta alla sentenza Torreggiani, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per il trattamento disumano dei detenuti a causa del sovraffollamento.

Il fallimento di questo modello di gestione, che prevede la permanenza dei detenuti all’aperto per molte ore al giorno, è stato causato principalmente dalla cronica carenza di opportunità trattamentali (lavoro, formazione professionale, studio) nonché dalla inadeguatezza di molte tra le strutture penitenziarie nelle quali mancano spazi adeguati allo svolgimento delle attività lavorative, ricreative, sportive.

La disastrosa giornata odierna deve rappresentare, a nostro avviso, la fine per queste due scellerate riforme, perché sono stati i fatti e non le opzioni ideologiche, che ne hanno dimostrato la fallacia, la debolezza, le pericolose degenerazioni.

Chiediamo, pertanto, che si avvii con immediatezza un percorso legislativo atto a restituire al Ministero della Giustizia la competenza sulla sanità penitenziaria, avvalendosi della professionalità di centinaia di medici ed operatori sanitari che, negli anni, hanno maturato una preziosa esperienza professionale specifica.

Chiediamo, altresì, una profonda rivisitazione del modello di gestione della sorveglianza dinamica, che potrà avere luogo soltanto in presenza di concrete opportunità trattamentali (lavorative in primis) in favore dei ristretti, non consentendo più agli stessi di aggregarsi quotidianamente negli spazi comuni semplicemente per oziare, con grave pregiudizio della sicurezza e dell’ordine degli istituti, come anni di aggressioni al personale, risse tra i ristretti e violenze di ogni tipo stanno a dimostrare.

Restiamo in attesa delle decisioni delle SS. LL. , auspicandole nel senso qui indicato.

Distinti saluti.

Il Coordinatore Nazionale Paola Saraceni

347.0662930 – fsi.funzionicentrali@usaenet.org  

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