Oggetto: misure recate dal decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18, recante “Misure di potenziamento
del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori ed imprese
connesse all’emergenza epidemiologica da Covid 19” – Circolare esplicativa

  1. Premessa
    Come noto, l’evolversi della situazione emergenziale – in considerazione della straordinaria
    necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi della diffusione del virus COVID-19 – ha
    condotto all’adozione di numerosi interventi normativi, sia di rango primario che secondario.
    In particolare, il decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 (c.d. decreto-legge “Cura Italia”),
    attualmente in fase di conversione, – all’interno di un più ampio contesto di potenziamento del
    Servizio sanitario nazionale, della Protezione civile e della sicurezza pubblica, nonché di
    individuazione di misure a sostegno delle famiglie e delle imprese – prevede una serie di misure
    specificamente rivolte al lavoro pubblico e a quello privato.
    Con la presente circolare – pur nella considerazione che l’emergenza è ancora in atto e che il
    quadro normativo è in costante aggiornamento – si intendono fornire, allo stato, orientamenti
    applicativi alle amministrazioni, con riferimento alle norme che interessano il lavoro pubblico, per
    chiarirne, nell’ambito della funzione di indirizzo e coordinamento, la portata ed assicurare una
    omogenea e corretta applicazione delle stesse in tutti gli uffici. Dal punto di vista metodologico si
    concentra l’attenzione sulla disposizione di cui all’articolo 87 del citato decreto-legge n. 18 del 2020
  • norma cardine e di portata generale in materia di pubblico impiego, nei termini che verranno in
    seguito evidenziati – per poi procedere all’analisi delle ulteriori disposizioni che, affrontando
    fattispecie di portata più specifica e limitata, rappresentano un corollario della citata norma.
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  1. Le misure dell’articolo 87 del d.l. 18/2020 in materia di prestazione lavorativa
    La norma recata dall’articolo 87 del citato decreto rappresenta lo strumento cardine attraverso
    il quale il legislatore, in un’ottica di sistema, ha inteso regolare la modalità di svolgimento della
    prestazione lavorativa all’interno degli uffici pubblici e costituisce la cornice nella quale devono
    essere iscritte le ulteriori disposizioni che – all’interno del citato decreto – affrontano istituti
    applicabili al personale pubblico.
    In particolare – sviluppando e riconducendo ad una cornice regolativa di rango primario
    l’indicazione già presente nella direttiva n. 2/2020 del Ministro della pubblica amministrazione
    (d’ora in poi “direttiva n. 2/2020”) – si stabilisce che, fino alla cessazione dello stato di emergenza
    epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del
    Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il
    lavoro agile costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle
    pubbliche amministrazioni.
    Considerato che primario obiettivo della disposizione è quello di ridurre la presenza dei
    dipendenti pubblici negli uffici e di evitare il loro spostamento, le amministrazioni sono chiamate
    ad uno sforzo organizzativo e gestionale, volto a individuare ogni idoneo strumento per superare
    eventuali ostacoli rispetto al pieno utilizzo di tale modalità lavorativa. Anche situazioni lavorative
    che – in un regime ordinario – potrebbero presentare aspetti problematici, in termini di sostenibilità
    organizzativa, per il ricorso al lavoro agile devono essere affrontate dalle amministrazioni nell’ottica
    sopra evidenziata.
    In particolare, l’articolo 87 prevede che le pubbliche amministrazioni:
    a) limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività
    che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche
    in ragione della gestione dell’emergenza;
    b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli
    da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
    La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti
    informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione e, in tali
    casi, l’articolo 18, comma 2, della legge 23 maggio 2017, n. 81 non trova applicazione (comma 2).
    La ratio del legislatore è quella di offrire alle amministrazioni un ventaglio di strumenti –
    ferie pregresse1, congedo, banca ore, rotazione, nel rispetto della contrattazione collettiva, e altri
    analoghi istituti, ove previsti dalla contrattazione medesima – modulabili, a seconda delle necessità
    organizzative proprie di ciascun ufficio, e riferibili all’intero assetto organizzativo e non al singolo
    dipendente.
    Emerge dal quadro normativo un evidente favor verso l’attivazione quanto più possibile
    estesa del lavoro agile, fermo restando il ricorso agli istituti alternativi che le pubbliche
    amministrazioni possono applicare qualora non vi siano le condizioni per il ricorso al lavoro agile.
    Dopo aver valutato la praticabilità dei predetti istituti, le amministrazioni possono
    motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio, fermo restando che il periodo di
    esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e che l’amministrazione
    non corrisponde solo l’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista. Tale periodo non è computabile
    1 V. infra.
    3
    nel limite di cui all’articolo 37, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio
    1957, n. 3.
    Secondo la disciplina introdotta, gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale,
    nonché le autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per le
    società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ciascuno nell’ambito della
    propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento ai principi introdotti dall’articolo 87 (comma
    4).
    A fronte del disposto normativo occorre evidenziare che, nell’attuale fase di emergenza –
    come anche rappresentato nella citata direttiva n. 2/2020 – le pubbliche amministrazioni, nell’ambito
    delle proprie competenze istituzionali, svolgono le attività strettamente funzionali alla gestione
    dell’emergenza e le attività indifferibili con riferimento sia all’utenza interna (a titolo
    esemplificativo: pagamento stipendi, attività logistiche necessarie per l’apertura e la funzionalità dei
    locali), sia all’utenza esterna.
    La presenza del personale negli uffici deve essere comunque limitata ai soli casi in cui la
    presenza fisica sia indispensabile per lo svolgimento delle predette attività, adottando forme di
    rotazione dei dipendenti per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di
    ciascun ufficio.
    Ciò non significa che – qualora una PA non individui le attività indifferibili da svolgere
    in presenza – il lavoratore sia automaticamente autorizzato a non presentarsi al lavoro. Ciascuna
    PA è responsabile della gestione del proprio personale e dell’applicazione delle misure urgenti in
    materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, tra cui
    l’obbligo di individuazione delle attività indifferibili e delle attività strettamente funzionali alla
    gestione dell’emergenza. In ossequio a tale obbligo le amministrazioni devono individuare, sia pur
    con comunicazione semplificata, le modalità con cui i dipendenti dovranno rendere la prestazione
    lavorativa e da ciò discende che il singolo dipendente non può ritenersi automaticamente
    autorizzato a non presentarsi al lavoro.
    Considerato che il datore di lavoro è parte attiva nel potenziare il ricorso al lavoro agile,
    non è necessario che il dipendente inoltri specifica richiesta in tal senso. Per garantire la massima
    applicazione dello smart working, le PA prevedono modalità semplificate e temporanee di accesso
    alla misura, escludendo appesantimenti amministrativi e favorendo la celerità dell’autorizzazione
    (ad. es. ricorso a scambio di mail con il dipendente per il riconoscimento dello smart working
    piuttosto che predisposizione di moduli da compilare o adozione di provvedimenti amministrativi).
    Nell’ambito della propria autonomia, ogni amministrazione può comunque disporre la
    presenza in sede, anche “a rotazione”, di personale che svolge la prestazione lavorativa in modalità
    ordinariamente agile, ove si determinino specifiche situazioni che rendano indispensabile tale
    presenza.
    Come precisato nella direttiva n. 2/2020 si evidenzia che le attività di ricevimento del
    pubblico o di erogazione diretta dei servizi al pubblico, ove indifferibili, sono prioritariamente
    garantite con modalità telematica o comunque con modalità tali da escludere o limitare la presenza
    fisica negli uffici (ad es. appuntamento telefonico o assistenza virtuale). Nei casi in cui il servizio
    non possa essere reso con le predette modalità, gli accessi negli uffici devono essere scaglionati,
    anche mediante prenotazioni di appuntamenti, assicurando che sia mantenuta un’adeguata distanza
    (c.d. distanza droplet) tra gli operatori pubblici e l’utenza, nonché tra gli utenti.
    In ogni caso, come precisato nella più volte richiamata direttiva n. 2/2020, le
    amministrazioni limitano gli spostamenti del personale con incarichi ad interim o a scavalco con
    riguardo ad uffici collocati in sedi territoriali differenti, individuando un’unica sede per lo
    svolgimento delle attività di competenza del medesimo personale.
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    E’ importante precisare che l’individuazione delle attività indifferibili non necessariamente
    presuppone che le stesse siano svolte in presenza fisica sul luogo di lavoro. Al contrario, le attività
    indifferibili possono essere svolte sia nella sede di lavoro – anche solo per alcune giornate, nei casi in
    cui il dipendente faccia parte del contingente minimo posto a presidio dell’ufficio – sia con modalità
    agile.
    Come sopra evidenziato – nel ribadire che la misura rappresenta una priorità da garantire
    anche al fine di tutelare la salute del personale dipendente – la disciplina normativa prevede una serie
    di strumenti e meccanismi di flessibilità che non devono essere vanificati dalle amministrazioni con
    appesantimenti amministrativi e burocratici. In tale ottica, le disposizioni normative prevedono che,
    per il ricorso al lavoro agile nell’attuale fase di emergenza sanitaria, le amministrazioni “prescindano
    dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22
    maggio 2017, n. 81”. In sintesi, è dunque ammessa la deroga all’accordo individuale (articolo 18 l.
    81/2017), all’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici
    connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (articolo 22 l. 81/2017) e
    alle comunicazioni relative all’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie
    professionali (articolo 23 l. 81/2017).
    Non è escluso che le amministrazioni, nell’esercizio dei propri poteri datoriali, prevedano
    una reportistica giornaliera sugli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile. E’ comunque rimessa
    all’autonomia di ciascuna amministrazione la scelta di ricorrere a schede o documenti di sintesi
    degli obiettivi raggiunti dal lavoratore agile con riferimento a periodi temporali più estesi.
    Si ritiene utile precisare che – nell’ipotesi di assunzione di nuovo personale – il periodo di
    prova non è incompatibile con la modalità del lavoro agile. Ai fini del compimento del periodo di
    prova, infatti, si tiene conto del servizio effettivamente prestato. Il principio è desumibile anche
    dalle previsioni dell’articolo 14 della legge n. 124 del 2015 secondo cui le amministrazioni
    garantiscono che i dipendenti in smart working non subiscano penalizzazioni ai fini del
    riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.
    È altresì possibile – anzi è auspicabile che le amministrazioni si attivino in tal senso –
    promuovere percorsi informativi e formativi in modalità agile che non escludano i lavoratori dal
    contesto lavorativo e dai processi di gestione dell’emergenza, soprattutto con riferimento a figure
    professionali la cui attività potrebbe essere difficilmente esercitata in modalità agile e per le quali
    l’attuale situazione potrebbe costituire un momento utile di qualificazione e aggiornamento
    professionale.
    Le amministrazioni sono chiamate, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale
    vigente, a definire gli aspetti di tipo organizzativo e i profili attinenti al rapporto di lavoro, tra cui
    gli eventuali riflessi sull’attribuzione del buono pasto, previo confronto sotto tale aspetto con le
    organizzazioni sindacali. Con particolare riferimento alla tematica dei buoni pasto, si puntualizza,
    quindi, che il personale in smart working non ha un automatico diritto al buono pasto e che
    ciascuna PA assume le determinazioni di competenza in materia, previo confronto con le
    organizzazioni sindacali.
    Si sottolinea che – fermo restando il divieto di discriminazione – istituti quali prestazioni
    eccedenti l’orario settimanale che diano luogo a riposi compensativi, prestazioni di lavoro
    straordinario, prestazioni di lavoro in turno notturno, festivo o feriale non lavorativo che
    determinino maggiorazioni retributive, brevi permessi o altri istituti che comportino la riduzione
    dell’orario giornaliero di lavoro appaiono difficilmente compatibili con la strutturazione del lavoro
    agile quale ordinaria modalità delle prestazione lavorativa. Si ritiene pertanto conforme a
    normativa che una PA non riconosca a chi si trova in modalità agile, ad esempio, prestazioni di
    lavoro straordinario.
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    Con riguardo all’istituto dell’esenzione di cui al comma 3, si sottolinea che – solo dopo
    aver verificato la non praticabilità delle soluzioni alternative individuate dal medesimo comma:
    lavoro agile, ferie pregresse, congedo, banca ore, rotazione, analoghi istituti – è possibile
    prevedere, come extrema ratio e pur sempre in casi puntuali, di esentare il personale dipendente,
    con equiparazione del periodo di esenzione al servizio prestato a tutti gli effetti di legge e, quindi,
    senza ripercussioni sulla loro retribuzione e senza che l’istituto incida negativamente ai fini della
    valutazione e dell’erogazione del trattamento accessorio.
    La decisione di esentare il personale, oltre ad essere motivata, presuppone comunque una
    preventiva valutazione delle esigenze di servizio e potrà essere in concreto esercitata solo qualora
    non determini, con riguardo al particolare ed eccezionale contesto emergenziale in atto, effetti
    negativi sull’attività che l’amministrazione è chiamata ad espletare.
    Il provvedimento di esenzione dovrà, quindi, illustrare, in maniera puntuale, la disamina
    della situazione in ordine ad ogni dipendente esentato, dando conto del ricorrere dei richiamati
    presupposti.
    A tal fine, con riferimento a strutture complesse quali, ad esempio, i Ministeri, appare
    opportuno individuare regole omogenee che individuino criteri e modalità per la regolamentazione
    dell’istituto – da definirsi a cura del capo del personale o altra figura di vertice amministrativo – che
    possono poi essere oggetto di attuazione da parte delle varie articolazioni organizzative. Nel
    rappresentare che l’impianto normativo non presuppone che si operi solo su istanza del dipendente
    interessato, è auspicabile che si adottino provvedimenti celeri e tali da escludere appesantimenti
    organizzativi.
    Da ultimo, si rappresenta che con riferimento ad alcune figure professionali, quali dirigenti
    e titolari di posizioni organizzative, che – come peraltro sottolineato proprio nella direttiva n. 2/2020
    del Ministro della pubblica amministrazione – svolgono una preminente funzione di coordinamento
    e direzione, appare estremamente difficile ipotizzare il ricorso all’esenzione dal servizio, considerato
    che le relative attività lavorative appaiono in ogni caso compatibili con lo svolgimento in modalità
    agile.
    Con riguardo al tema delle ferie pregresse, occorre fare riferimento alle ferie maturate e
    non fruite, nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro
    e nell’ambito dell’esercizio delle prerogative datoriali. Sul punto si richiamano, quindi, le
    disposizioni contenute nei diversi CCNL di comparto che, nella generalità, pongono un limite alla
    discrezionalità del datore di lavoro, obbligandolo a consentire la fruizione delle ferie – non
    godute dal lavoratore nell’anno di maturazione per “indifferibili esigenze di servizio”-
    entro il primo semestre dell’anno successivo. Le predette disposizioni contrattuali, nella loro
    portata vincolante, assumono dunque una valenza che soddisfa le esigenze di tutela dell’integrità
    fisica del lavoratore e dello stato di salute, sottesa all’istituto, in maniera ancora più
    rafforzata rispetto alle previsioni contenute all’articolo 10 del d.lgs. n. 66 del 2003. Giova ricordare
    che – secondo la stessa Commissione europea (cfr. Comunicazione interpretativa sulla direttiva
    2003/88/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 4 novembre 2003, concernente taluni
    aspetti dell’organizzazione del lavoro) – l’effetto positivo delle ferie si esplica pienamente se esse
    vengono fruite nell’anno; sicché una contrazione dei termini di differimento rispetto alle
    previsioni del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, quale quella voluta dalle parti negoziali, non può che
    risultare maggiormente garantista dei diritti dei lavoratori. Anche l’ARAN, a fugare eventuali
    dubbi di mancato coordinamento tra la disciplina contrattuale e quella legale (articolo 10 del
    richiamato d.lgs. n. 66 del 2003) arriva alla conclusione della prevalenza, tra le disposizioni
    previste dalle due fonti, di quelle di matrice contrattuale (RAL 1051 e 1424.) A tale
    interpretazione, peraltro costituzionalmente orientata (articolo 36, co. 3, Cost.) si ritiene possa
    indurre la stessa circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 8 del 3 marzo 2005
    laddove richiama esplicitamente la possibilità che la contrattazione collettiva possa prevedere un
    termine massimo di fruizione del periodo di ferie ‘minore’ di quello individuato dal legislatore.
    6
    Alla luce del quadro delineato, si rappresenta che – oltre alle ferie del 2018 o precedenti –
    la norma deve intendersi riferita anche a quelle del 2019 non ancora fruite. In un contesto
    caratterizzato dai descritti elementi emergenziali e di eccezionalità, tenuto conto del descritto ruolo
    preminente del lavoro agile, rientra nei poteri datoriali la possibilità di utilizzare, in una
    dimensione di sistema e di salvaguardia delle esigenze organizzative, gli strumenti messi a
    disposizione dal legislatore. Conseguentemente – ferma restando la prioritaria scelta del
    legislatore, in termini generali, a favore del lavoro agile – si ritiene legittimo che le amministrazioni
    possano ricorrere all’istituto delle ferie, se del caso a rotazione o intervallate con il lavoro agile,
    anche in ragione dei picchi di attività. Tale ricostruzione, oltre ad essere in linea con la disciplina
    della vigente contrattazione collettiva, appare coerente con la situazione emergenziale in essere e
    funzionale rispetto all’esigenza di assicurare l’attività amministrativa indifferibile.
    Non rientrano, invece, nel concetto di ferie pregresse le giornate per le festività soppresse
    che devono necessariamente essere godute nell’anno di riferimento, pena la non fruibilità delle
    stesse.
    Il comma 5 prevede che “lo svolgimento delle procedure concorsuali per l’accesso al
    pubblico impiego, ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata
    esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica, sono sospese per sessanta giorni
    a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. Resta ferma la conclusione delle procedure
    per le quali risulti già ultimata la valutazione dei candidati, nonché la possibilità di svolgimento dei
    procedimenti per il conferimento di incarichi, anche dirigenziali, nelle pubbliche amministrazioni
    di cui al comma 1, che si istaurano e si svolgono in via telematica e che si possono concludere anche
    utilizzando le modalità lavorative di cui ai commi che precedono, ivi incluse le procedure relative
    alle progressioni di cui all’articolo 22, comma 15, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75”.
    Per effetto di tale norma, le procedure concorsuali per l’accesso al pubblico impiego sono
    sospese, a meno che la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari
    ovvero in modalità telematica, a prescindere dalla fase della procedura. In altri termini, rileva la
    modalità della procedura e non lo stato della stessa, con la conseguenza che una procedura
    concorsuale interamente telematica può essere esperita anche se si trova attualmente nella fase
    iniziale.
  2. Articolo 24 del d.l. 18/2020 – permessi ex lege n. 104 del 1992
    Premesso quanto evidenziato in precedenza circa il fondamentale ruolo di sistema della
    norma recata dall’articolo 87, anche l’articolo 24 del decreto legge in esame appare riconducibile alla
    ratio di tutelare la salute del personale dipendente e di ridurre al minimo gli spostamenti dei
    lavoratori.
    La norma prevede che i permessi retribuiti a disposizione dei lavoratori che assistono i
    soggetti disabili in situazione di gravità, stabiliti in 3 giorni al mese (articolo 33, comma 3, della legge
    n. 104/1992), “sono incrementati di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di
    marzo ed aprile”. Vengono previste, quindi, ulteriori 12 giornate complessive – che si aggiungono a
    quelle già stabilite dalla normativa vigente – fruibili indifferentemente tra marzo e aprile,
    compatibilmente con le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.
    L’incremento dei permessi previsti per alcune categorie di beneficiari2 segue le regole
    ordinarie. Questo significa che, se un dipendente assiste più di una persona disabile, come in passato
    2 A titolo di esempio: genitori di figli con disabilità grave non ricoverati a tempo pieno, coniuge, parenti e affini entro il
    2° grado di persone con disabilità grave (ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con
    handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie
    invalidanti o siano deceduti o mancanti) non ricoverate a tempo pieno, lavoratori con disabilità grave.
    7
    accadeva per i permessi dei 3 giorni, così oggi ha diritto di sommare tanti incrementi quante sono le
    persone assistite. Quindi, ad esempio, se prima si aveva diritto a 6 giorni di permesso totali al mese
    per due familiari, adesso si ha diritto a 36 giorni da utilizzare unicamente fra marzo e aprile 2020,
    benché siffatto budget di giornate risulti oggettivamente non fruibile entro la data di scadenza
    prevista. Analoghe considerazioni devono svolgersi nell’ipotesi in cui il permesso non sia legato
    all’assistenza di un congiunto ma a una situazione patologica propria del dipendente.
    Non si ritiene, invece, possibile convertire in permesso ex articolo 33, comma 3, della legge
    n. 104/1992 le assenze già effettuate nel mese di marzo 2020 – prima dell’entrata in vigore della
    norma in esame – utilizzando altri istituti giuridici contrattualmente previsti (congedi ordinari,
    permessi per motivi personali, ecc..).
    In ordine alla possibilità di fruire a ore i citati permessi aggiuntivi si ritiene che tale opzione
    – pur astrattamente compatibile con il quadro regolativo di riferimento – sia in controtendenza rispetto
    all’obiettivo prioritario di limitare gli spostamenti delle persone fisiche e non funzionale, considerato
    che lo smart working rappresenta, nell’attuale fase emergenziale, l’ordinaria modalità di svolgimento
    della prestazione lavorativa. Sarebbe, pertanto, auspicabile che le Amministrazioni incentivassero,
    quanto più possibile, l’utilizzo a giornate dell’istituto, anche eventualmente in forma continuativa.
    Una limitazione è, infine, contenuta nello stesso articolo 24, al comma 2, dove si prevede
    che il beneficio di cui al comma 1 possa essere riconosciuto al personale sanitario delle aziende ed
    enti del Servizio sanitario nazionale solo compatibilmente con le esigenze organizzative.
  3. Articolo 25 del d.l. 18/2020 – congedi e bonus
    L’articolo 25 del decreto reca disposizioni in materia di congedo e indennità per i lavoratori
    dipendenti del settore pubblico ed introduce una nuova forma di congedo a favore dei genitori (anche
    affidatari) ulteriore rispetto a quello ordinariamente previsto dall’articolo 32 del decreto legislativo
    n. 151 del 2001.
    Il bisogno urgente di soluzioni da praticare in fase emergenziale al fine di ridurre al minino
    spostamenti di persone ha condotto alla previsione di un congedo la cui fruizione agisce con
    retroattività rispetto all’entrata in vigore della norma.
    La norma prevede, per i genitori con figli fino a 12 anni di età, il diritto – a decorrere dal 5
    marzo e per tutto il periodo di sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado,
    sancito dal DPCM 4 marzo 2020 – ad un congedo di complessivi 15 giorni, fruibile in modo
    continuativo o frazionato; per tale istituto viene riconosciuta una indennità pari al 50% della
    retribuzione. Si tratta, pertanto, di un congedo che può sostituire, anche con effetto retroattivo (a
    decorrere dal 5 marzo), l’eventuale congedo parentale non retribuito già in godimento. Tale congedo
    parentale può essere fruito, alternativamente, da entrambi i genitori per un totale di 15 giorni
    complessivi. La fruizione del congedo in argomento è comunque subordinata alla condizione che nel
    nucleo familiare non vi sia altro genitore che risulti già beneficiario di strumenti di sostegno al reddito
    in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, oppure disoccupato o non lavoratore.
    In merito, deve evidenziarsi che – pur essendo rimesse al singolo dipendente le decisioni in
    ordine alla fruizione del nuovo istituto – deve presumersi che lo stesso avrà una portata applicativa
    limitata e residuale, tenuto conto della descritta funzione di sistema dell’articolo 87. Inoltre, la
    vigenza dello stesso è circoscritta al 3 aprile 2020, in quanto – per effetto del DPCM 8 marzo 2020 –
    è sospesa fino a tale data la frequenza delle scuole di ogni ordine e grado. Ne consegue che l’istituto
    del congedo si applica a decorrere dal 5 marzo e sino al termine della sospensione delle attività
    didattiche, ossia – allo stato – sino al prossimo 3 aprile 2020.
    8
    Per i dipendenti pubblici le modalità di fruizione dei permessi aggiuntivi sono a cura
    dell’Amministrazione pubblica per cui lavorano. La domanda non va presentata all’INPS ma alla
    propria amministrazione pubblica secondo le indicazioni fornite da questa. Ulteriori informazioni
    relative ai dipendenti pubblici e a questo tipo di permessi sono disponibili sul sito del Dipartimento
    della funzione pubblica.
    Si ritiene che il lavoro agile di un genitore legittimi la fruizione del congedo Covid-19 da
    parte dell’altro genitore, in considerazione della circostanza che lo smart working non è un diverso
    tipo di contratto di lavoro, ma solo un modo diverso di svolgere l’attività professionale, con ciò
    determinando un’incompatibilità con la cura dei figli. Le condizioni legittimanti il permesso
    escludono solo le previsioni nelle quali l’altro genitore è beneficiario di uno strumento di sostegno al
    reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa.
    In aggiunta al beneficio di cui sopra, lo stesso articolo 25, al successivo comma 3, prevede
    che per i lavoratori dipendenti del settore sanitario, pubblico e privato accreditato, appartenenti alla
    categoria dei medici, degli infermieri, dei tecnici di laboratorio biomedico, dei tecnici di radiologia
    medica e degli operatori sociosanitari, il bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per l’assistenza
    e la sorveglianza dei figli minori fino a 12 anni di età, previsto dall’articolo 23, comma 8, in alternativa
    alla prestazione di cui al comma 1, è riconosciuto nel limite massimo complessivo di 1.000 euro.
    Tale disposizione viene estesa anche al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso
    pubblico impiegato per le esigenze connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
    Non è, pertanto, possibile richiedere il bonus se l’altro genitore è disoccupato/non lavoratore
    o usufruisce di strumenti di sostegno al reddito o è già stato richiesto il Congedo COVID-19.
    Il bonus può essere chiesto anche se si usufruisce dei giorni aggiuntivi di permesso retribuito
    (legge n. 104/1992) o dei congedi parentali prolungati per i genitori di figli con disabilità grave.
  4. Articolo 26 del d.l. 18/2020 – ulteriori misure a favore di particolari categorie di
    dipendenti –
    L’articolo 26, comma 2, del decreto stabilisce che: ”Fino al 30 aprile ai lavoratori
    dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di
    gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104, nonché ai lavoratori
    in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una
    condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo
    svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge
    n. 104 del 1992, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie,
    è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legge 2 marzo
    2020, n. 9”.
    Viene, quindi, riconosciuta la possibilità di assentarsi dal lavoro, fino al 30 aprile 2020,
    alle seguenti categorie di dipendenti privati e pubblici:
    a) disabili gravi, ai sensi del citato articolo 3, comma 3, della legge n.104/1992;
    b) immunodepressi, lavoratori con patologie oncologiche o sottoposti a terapie salvavita, in
    possesso di idonea certificazione.
    In tali casi, l’assenza dal servizio è equiparata al ricovero ospedaliero ai sensi dell’articolo
    19, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2020 n. 9, attualmente in fase di conversione.
    Si segnala che – nonostante la rubrica dell’articolo 26 faccia riferimento esclusivamente
    ai lavoratori privati – il comma 2 dello stesso è applicabile anche ai lavoratori pubblici.
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  5. Articolo 39 del d.l. 18/2020 – estensione lavoro agile a soggetti con disabilità grave
    Altra misura importante è contenuta nell’articolo 39 in quanto finalizzata a favorire la
    continuità lavorativa di chi è più debole, in coerenza con il già richiamato articolo 87 che
    costituisce, come detto, la linea guida alla luce della quale devono essere lette tutte le ulteriori
    disposizioni che – all’interno del decreto-legge n. 18 del 2020 – affrontano istituti applicabili al
    personale pubblico.
    L’articolo 39 dispone infatti che, fino al 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti con
    disabilità grave o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave, hanno
    diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile a condizione che tale modalità sia
    compatibile con le caratteristiche della prestazione. La norma, tenuto conto che, nella fase attuale,
    la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa è il lavoro agile, mira ad
    estenderne gli effetti anche a quei soggetti per i quali la disabilità assuma i l carattere di gravità,
    avendo la minorazione, singola o plurima, ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo
    tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella
    sfera individuale o in quella di relazione.