Finalmente, dopo due mesi e mezzo, è finito il famigerato lockdown, parola che abbiamo imparato a conoscere per colpa della pandemia causata dal propagarsi del virus covid-19: parola dal suono sinistro, con il suo portato di limitazione delle nostre libertà fondamentali, quali muoverci, incontrare parenti, amici, i famosi congiunti, passeggiare, correre, prendere il sole, …


Oggi, fortunatamente, il nostro vocabolario quotidiano è connotato da altri termini: riaprire, ripartire, ricominciare, con quel prefisso ri- che sta ad indicare una nuova fase, un nuovo inizio, con regole e modalità nuove.

E sì, perché la pandemia ci ha lasciato in eredità una nuova cultura dello stare insieme, della convivenza civile, secondo quel parametro divenuto ormai una via di mezzo tra un mantra tibetano ed un diktat di regime: il distanziamento sociale, termine che ci appare ambiguo e  fuorviante, per cui preferiamo parlare di distanziamento fisico, che meglio ci sembra connotare quella che è l’esigenza primaria finalizzata a ridurre il rischio di contagio, e cioè una nuova, diversa, più contenuta prossimità tra le persone.

Se riflettiamo un attimo su questo aspetto, possiamo vedere come alcune di queste che sono veicolate come “nuove regole”, in realtà dovrebbero appartenere da sempre alla nostra cultura dello stare insieme, del vivere civile.

Facciamo qualche esempio: non stare accalcati come sardine sui mezzi pubblici, essere in fila composti e a distanza alla cassa di un supermercato o all’ingresso di un museo, non trovarsi sdraiati su un lettino in spiaggia appiccicati ai nostri vicini (troppo vicini!) di ombrellone, ebbene, tutto questo, a noi sembra un deciso passo in avanti, e non viceversa un fastidioso obbligo.

Ancora, l’abitudine di pulire, sanificare, disinfettare, i luoghi pubblici ove accedono migliaia di persone è, o dovrebbe essere, una normale prassi adottata ovunque a livello di comunità locali; così come lavarsi spesso le mani, evitare di parlare, o peggio tossire e sternutire in faccia agli altri, sono regole che più che da eminenti virologi devono essere insegnate da genitori consapevoli e da maestre coscienziose.

La pandemia ha evidenziato tutti i limiti della globalizzazione e la estrema fragilità di un sistema economico fondato sulla esasperazione della produzione e del consumo, con riflessi drammatici sull’ambiente, quali dissesti idrogeologici, innalzamento delle temperature, inquinamento di mari, laghi, fiumi, estinzione o alto rischio di estinzione per migliaia di specie di piante e animali, deforestazione selvaggia di milioni di ettari, aria irrespirabile nella maggior parte delle megalopoli di tutto il mondo.

Questi danni hanno dei pesantissimi riflessi sulla salute umana, in quanto generano uno squilibrio dell’intero ecosistema, del quale l’uomo è parte integrante, a volte in modo irreversibile: e la diffusione di gravi patologie e di pandemie come quella attuale, possono essere correlate a questo scempio della natura e a questo sfruttamento senza freni e senza regole del pianeta Terra e delle sue non infinite risorse.

 Questo discorso riguarda naturalmente anche la nostra alimentazione, laddove l’uso indiscriminato di pesticidi in agricoltura, lo sfruttamento intensivo dei terreni, gli allevamenti in batteria e la manipolazione chimica dei mangimi per il bestiame, rendono il nostro cibo spesso poco salutare, quando non espressamente pericoloso per la nostra salute.

L’attuale pandemia ha costituito un momento di riflessione, a livello mondiale, su tutto ciò: le immagini suggestive (e a tratti inquietanti, in quanto evocative di quei film del genere catastrofista sulla estinzione dell’umanità, tanto di moda qualche decennio fa) di migliaia di animali selvatici che si sono riappropriati delle città, hanno chiaramente mostrato come l’uomo rappresenti molto spesso una presenza troppo ingombrante per il pianeta, a causa della sua presunzione di dominare e di servirsi dello stesso, in modo indiscriminato.

Vogliamo invitare tutti, in questo momento particolare, a riflettere su questi aspetti, al fine di modificare alcuni nostri comportamenti, per rendere migliore questo nostro mondo.

Nell’immediato, questo noi possiamo fare, mentre spetterà come sempre ai decisori politici fare le scelte importanti e decisive per il futuro del nostro pianeta, facciamo in modo che questa nostra nuova consapevolezza orienti le loro scelte nella direzione giusta, forse siamo ancora in tempo.

Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

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