Le scriviamo in nome e a tutela delle migliaia di lavoratori che operano all’interno degli uffici giudiziari, che in questi ultimi giorni sono stati oggetto di vergognosi attacchi da più parti.

Signor Ministro della Giustizia, quello che maggiormente rammarica è che né Lei, né tantomeno la magistratura, a quanto consta, hanno espresso solidarietà al personale giudiziario evidentemente colpito anche nella propria immagine.

In particolare, da alcuni appartenenti all’Ordine Nazionale degli Avvocati a livello locale, è stata messa in discussione la professionalità di questi operatori, arrivando addirittura a chiedere conto della loro produttività in riferimento alle giornate di lavoro svolte nella modalità “agile”, disposta dalla normativa, al fine di prevenire il rischio di contagio da covid-19 all’interno degli uffici pubblici.

Tale ingerenza è assolutamente inaccettabile, attesa la totale incompetenza dell’Ordine citato in materia di controlli e verifiche sul lavoro dei dipendenti dello Stato; non esitiamo a definire odiosa l’iniziativa, laddove ipotizza – in modo alquanto chiaro e inequivocabile – una generica inefficienza o uno scarso impegno dei lavoratori in argomento. Ma quello che maggiormente rammarica è che né Lei, né tantomeno la magistratura, a quanto consta, abbiano espresso solidarietà al personale giudiziario evidentemente colpito anche nella propria immagine.

Non va dimenticato che dal 2003 gli organici del personale giudiziario sono stati letteralmente spolpati, passando dai circa 53mila addetti di allora, agli attuali 44mila previsti (ma solo 34mila effettivamente presenti); nonostante ciò, questi lavoratori, la cui età media è largamente sopra i 50 anni, hanno garantito il funzionamento della macchina della giustizia tra mille difficoltà, impedendone la paralisi nonostante l’enorme mole di lavoro accumulatosi nel tempo proprio a causa delle citate carenze.

Vogliamo aggiungere che la modalità di lavoro agile è stata prevista sin dal 2017, nel quadro di una generale razionalizzazione della attività della pubblica amministrazione, e che la sua massiccia adozione in questi mesi è servita – e ancora serve – a contrastare il propagarsi di una pandemia che solo in Italia ha prodotto circa 35mila morti.

In altre parole, questa nuova modalità lavorativa è destinata a diventare – se non quella predominante – una parte importante e irrinunciabile dell’azione della pubblica amministrazione, mentre allo stato attuale essa deve rimanere linea guida prevalente fino al termine dello stato di emergenza, ad oggi fissato al 31 luglio 2020. Apprendiamo però che un emendamento al disegno di legge di conversione del DL 28/2020 “intercettazioni”, fortemente voluto dall’ Avvocatura, ha disposto la “riapertura” di tutti gli uffici giudiziari dal 1° luglio 2020.

Teniamo a precisare che gli uffici giudiziari non sono mai stati chiusi, essi hanno assicurato lo svolgimento di udienze direttissime, con detenuti e tutte le attività indifferibili ed urgenti; è stato assicurato, anche, su appuntamento, l’accesso alle cancellerie per gli avvocati, oltre che la ricezione in via telematica delle loro istanze. Lo smart working, inoltre, ha garantito lo svolgimento delle attività istituzionali nel periodo del c.d. lockdown, come chiaramente indicato dalle statistiche fornite dal Ministero della Giustizia che si allegano, dalle quali si evince la continuità delle attività, garantita da una rimodulazione lavorativa  che ha previsto l’attività di smart working, alternata alla  presenza in ufficio del personale a rotazione, al fine di salvaguardare le esigenze sanitarie con quelle di produttività degli uffici.

Chiediamo, pertanto, di proseguire con la modalità di lavoro agile fino al 31 luglio p. v., secondo criteri che tengano conto della salvaguardia sanitaria e le esigenze specifiche degli uffici giudiziari del Paese.

Rimane pesantissima – e su questo chiediamo una risposta concreta in tempi brevissimi – la carenza degli organici del personale giudiziario che, a prescindere dalle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, costituisce una delle cause dei ritardi e delle inefficienze dell’apparato giudiziario italiano.

Non la sola, poiché, andrebbe rivista la procedura penale e la c.d. oralità del processo, che non pare abbia portato una maggiore celerità dei processi, rispetto al codice Rocco. Da ultimo, sarebbe opportuno affrontare la questione dei salari per i lavoratori giudiziari italiani, tra i più bassi in Europa.

Ringraziamo per l’attenzione, e restiamo in attesa di conoscere le prossime determinazioni che saranno assunte nel merito.

Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

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