GIOVANI, VIOLENZA E NORME PENALI: SERVE UNA RIFORMA?

Sicuramente l’età adolescenziale è caratterizzata da inquietudine e tumulti, fisici ed emotivi, e lo sfogo dell’aggressività è non solo comprensibile, ma addirittura necessario; è altrettanto vero che questo deve realizzarsi attraverso pratiche lecite e costruttive, come ad esempio l’attività sportiva, mentre, con sempre maggiore frequenza, assistiamo oggi ad una escalation di comportamenti violenti, spesso di gruppo, agiti da giovani e giovanissimi, causati da motivazioni quasi sempre futili, ma dalle conseguenze a volte tragiche.

Il fenomeno che stiamo osservando merita qualche riflessione, a nostro avviso, su quelli che sono i principi che hanno ispirato l’intero impianto della giustizia minorile, il DPR 488 del 22 settembre 1988: principi che definiscono gli ambiti dei comportamenti consentiti e di quelli penalmente rilevanti, agiti dai giovani tra i 14 ed i 18 anni, sulla base di una precisa concezione dell’universo minorile, dove il minore di 14 anni è considerato non punibile in ogni caso, mentre nell’arco compreso tra i 14 anni compiuti e i 18 non compiuti l’imputabilità va decisa caso per caso, attraverso l’accertamento della capacità di intendere e di volere posseduta dal minore autore del reato al momento di commissione dello stesso.

La domanda che ci poniamo è se alla luce della crescente violenza agita a tutti i livelli dai nostri giovani (in forma individuale, di gruppo, affiliata alla criminalità organizzata,) non sia il caso di rivedere questi principi guida, senza stravolgerli, ma cercando di adeguare alcuni aspetti della vigente normativa ai mutati scenari. Come è noto, la nostra normativa prevede, nei confronti dei minorenni autori di reato, interventi con finalità essenzialmente educative, pur conservandone un mitigato aspetto punitivo: la pena, comunque ridotta rispetto a quella prevista per gli adulti, viene stabilita in base alla valutazione delle circostanze sociali, ambientali, psicologiche ed educative che possono aver contribuito all’esecuzione del reato, ed è finalizzata a coniugare la giustizia con la tutela ed il recupero del minore autore di reato.

Secondo Il principio di adeguatezza, il processo deve tendere verso finalità di carattere educativo, volte a responsabilizzare il minore.

Le misure devono adeguarsi alla personalità del giovane, essere in linea con le sue esigenze educative, e tendere il più possibile alla sua reintegrazione nella società civile.
L’obiettivo finale è restituire al minore la normalità della vita sociale, evitando gli interventi che potrebbero in qualche modo destrutturarne la personalità.

Vige poi il principio di minima offensività, secondo cui vanno limitati al massimo i contatti del minore col sistema penale, al fine di garantire il suo corretto sviluppo psicofisico, attraverso l’adozione di strumenti alternativi al carcere volti a non interrompere il processo educativo e a far uscire rapidamente il minore dal circuito penale.

Strettamente collegato a questo, vige il principio di de-stigmatizzazione, secondo il quale va evitato il pregiudizio che potrebbe derivare dal contatto del minore col sistema penale: in tal senso, sono garantite particolari forme di riservatezza e anonimato.

Fondamentale è poi il principio di residualità della detenzione: il carcere è vissuto come estrema ratio, mentre vengono privilegiate le forme alternative, quali la permanenza in casa o in comunità focalizzate sul reinserimento sociale.

Dal nostro punto di vista, ferme restando le tutele per i minori coinvolti nel circuito penale e la prevalenza dei percorsi alternativi al carcere, crediamo che l’intervento dello Stato non possa prescindere da una dimensione comunque punitiva, che non solo non contrasta con la funzione pedagogica prevalente, ma ne deve costituire un elemento fondante.

Troppo spesso infatti, si è constatato come nei percorsi delinquenziali di molti minori sia stato completamente assente l’intervento genitoriale o dell’istituzione scolastica nel suo momento di contrasto, nel dire dei no appropriati, nel redarguire ed anche punire, in senso pedagogico, mai come rivalsa o vendetta, ma come responsabilizzazione di chi ha sbagliato. La giusta protezione del minore non deve portare ad escludere la misura del carcere, a volte purtroppo necessaria. Prescindere dall’irrogare una sanzione afflittiva, dunque una punizione, a chi ha violato norme gravissime, può costituire una pericolosa scorciatoia per quei minori, cui non sono mai stati posti freni né limiti, e che, proprio per questo, possono interpretare tale atteggiamento protettivo come una manifestazione di estrema debolezza dello Stato, percepito privo di autorevolezza e quindi non riconosciuto.

Ciò porta inevitabilmente a congelare quel processo di crescita e responsabilizzazione che, viceversa, l’ordinamento penale minorile cerca giustamente di perseguire, ma che così facendo è destinato a fallire.

La nostra proposta è quindi quella di una rilettura della normativa in argomento, allo scopo di prevedere in maniera certa un ambito restrittivo in senso pedagogico e mai vendicativo, ove sia prevista la privazione della libertà, elemento fondamentale del nostro sistema di esecuzione penale.

Che poi il carcere stesso vada migliorato in termini di strutture, spazi, opportunità interne di studio e lavoro, adeguata presenza di personale qualificato, è un discorso parallelo che stiamo portando avanti da anni e che continueremo a fare, ancor più per quanto riguarda le strutture per minori, anche in coerenza con quanto richiesto nel presente documento.

Al riguardo, ci è apparsa aberrante la decisione di portare a 25 anni il limite di età per scontare all’interno di un carcere minorile un reato commesso da minorenne; moltissime testimonianze di operatori penitenziari minorili ci raccontano di enormi difficoltà di gestione causate dalla nefasta influenza che questi giovani adulti non di rado esercitano su giovanissimi adolescenti loro compagni di pena, laddove la separazione fisica tra gli uni e gli altri non può essere sempre garantita. 

    Il Coordinatore Nazionale

    Paola Saraceni

                                                                                                                                                                      347.0662930 –   fsi.funzionicentrali@usaenet.org