Lo smart working, che in Italia è codificato come lavoro agile ed è disciplinato dalla legge n.
81/2017, ha conosciuto una diffusa applicazione emergenziale in occasione della pandemia,
finalizzata alla riduzione dei contatti ravvicinati tra lavoratori per contrastare il pericolo di contagio
tra gli stessi.

Oggi, terminata l’emergenza pandemica, all’interno della P. A. è molto vivo il dibattito sulla
opportunità di manternere ed ampliare tale modalità lavorativa, alla luce dei dati che hanno
dimostrato come la sua diffusa applicazione non abbia inficiato l’azione amministrativa (tutt’altro),
e abbia contestualmente consentito ai lavoratori di conciliare meglio i tempi di lavoro e di vita,
come peraltro espressamente stabilito dalla normativa citata1
.

Va subito detto che l’applicazione della normativa in argomento nel nostro Paese segue
attualmente due strade: quella semplificata, che non prevede la stipula dell’accordo tra datore di
lavoro e lavoratore, e quella che viceversa prevede tale accordo, riservata ai pubblici dipendenti.
Che il futuro del lavoro agile per i lavoratori pubblici sia incerto, lo ha chiaramente lasciato
intendere il Ministro per la P. A. Brunetta, che ha sottolineato come una volta stabilizzata la
situazione sanitaria, la presenza in ufficio sarebbe tornata fondamentale. “Bene le indagini che
hanno rilevato il benessere dei lavoratori legato al miglioramento della qualità della vita, al calo
del pendolarismo, all’impatto positivo sull’ambiente ma la finalità principale del lavoro pubblico
non è questa: è fornire i migliori servizi alla collettività”. 2
Un’affermazione strumentale, che volutamente confonde il fine (l’efficacia e l’efficienza
dell’azione della P. A.) con un mezzo per raggiungerlo (il lavoro agile), dimenticando di citare i dati
e le statistiche degli stessi Ministeri che dimostrano come, durante l’applicazione massiva dello
smart working nel corso della pandemia, non vi siano state contrazioni del livello qualitativo dei
servizi pubblici, a parte il rallentamento generale che ha riguardato comunque tutti gli aspetti della
vita dei cittadini durante i lunghi periodi di lockdown.

Il pregiudizio contro il lavoro agile nel pubblico impiego ha radici antiche, e risale ai tempi in cui lo stesso Ministro Brunetta lanciava pubbliche crociate contro i fannulloni, coadiuvato dal professor Ichino che arricchiva il panorama letterario italiano con il suo “illuminante” testo sui dipendenti pubblici.3 Se guardiamo all’Europa, in mancanza di linee guida generali sull’applicazione del lavoro agile nei diversi Paesi, notiamo come l’Italia sia molto indietro rispetto a quasi tutti gli altri, con una distanza enorme dai Paesi scandinavi ed anglosassoni, e appena sopra quelli dell’est Europa.

https://drive.google.com/file/d/1W9vEpvIaU_sckA6h0ocgZejUuSuFK_9r/view?usp=sharing

Più nel dettaglio, l’Italia, con una percentuale dell’8.3% è l’ultima tra i Paesi dll’Europa occidentale, dove è surclassata da Irlanda (33%), Lussemburgo (28.4%), Svezia (27.7%), Belgio (26.4%), Olanda (24%) e così via; anche le Repubbliche Baltiche ex sovietiche sono davanti a noi, soltanto i Paesi dell’est Europa hanno percentuali minore delle nostre. Crediamo che alla base di questi numeri, ci siano anche delle differenti concezioni culturali: nel caso specifico che più ci interessa, quello dei pubblici dipendenti, l’applicazione a regime del lavoro agile, ovviamente nei casi in cui questo è possibile, avrebbe dei riflessi certamente positivi sull’attività lavorativa, riducendo i disagi economici e stressanti del pendolarismo (si pensi alle migliaia di fuori sede), con un impatto anche sul traffico, l’inquinamento, i consumi energetici più in generale. Sul livello di efficienza e sulla produttività, le Amministrazioni hanno tutti gli strumenti per valutare le prestazioni dei singoli e degli uffici: quello della mancanza di controllo sul personale è un falso problema se, come un approccio moderno all’organizzazione del lavoro impone, si pianifica lo stesso per obiettivi e si misurano le prestazioni sulla scorta dei risultati raggiunti, e non per il mero tempo trascorso in ufficio tra la timbratura d’ingresso e quella di uscita. D’altro canto, la correlazione positiva tra il benessere dei lavoratori e le loro prestazioni lavorative fa parte della letteratura del settore da decenni.5 Crediamo quindi, in conclusione, che al di là delle sterili dichiarazioni di alcuni politici, volti più ad una sorta di captatio benevolentiae in chiave elettorale che a cercare soluzioni ai reali problemi del Paese, il lavoro agile debba trovare ampio spazio all’interno della P. A., senza ovviamente comprimere quei servizi al pubblico e tutte quelle prestazioni che richiedono la presenza sul luogo di lavoro: ma la sua adozione a regime, in un quadro coerente di analisi dei bisogni, determinazione degli obiettivi, programmazione delle attività e, infine, di misurazione e valutazione dei risultati, appare non più rimandabile nel quadro di una Pubblica Amministrazione moderna, efficiente e sempre più vicina a tutti i cittadini, sia i fruitori dei servizi ma anche gli oltre tre milioni di suoi dipendenti.

1 Legge 81/2017 – Art. 18 “Lavoro agile”.

  1. Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi
    di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita
    mediante accordo tra le parti… (omissis).
    2 https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/07/12/olanda-il-lavoro-da-casa-diventa-un-diritto-legale-si-attende-solo-il-via
    -libera-del-senato-lavoratori-piu-felici-e-produttivi/6657982/

5 Un esempio su tutti, quello di Adriano Olivetti nel 1945.