Gentile Signor Ministro, con la presente vogliamo esprimerLe il nostro più vivo compiacimento per la Sua nomina al vertice del Ministero della giustizia, ed augurarLe un lungo e proficuo lavoro.

Come Organizzazione sindacale, siamo da sempre vicini ai pubblici dipendenti, con un’attenzione particolare rivolta a quelli della giustizia, in considerazione delle delicatissime funzioni da loro svolte all’interno degli uffici giudiziari e degli istituti penitenziari, ed anche della storia professionale di chi Le scrive. In questa sede, illustriamo la nostra analisi di alcune criticità della giustizia italiana, insieme con alcune proposte di eventuali soluzioni, sperando di fornire un utile contributo. Settore Penitenziario Alla data del 30 settembre 20221 , erano presenti nei 190 istituti penitenziari italiani, 55.835 detenuti (di cui 17.740 stranieri, pari a circa il 32%): il tasso di sovraffollamento, calcolato su una capacità ricettiva di 50.942 posti, era del 109,6%. Purtroppo, dobbiamo evidenziare che aggressioni, tentativi di sequestro, minacce, ingiurie, costituiscono la difficilissima realtà con la quale gli operatori penitenziari devono confrontarsi quotidianamente, lavorando in una situazione di pericolo costante, fortemente ansiogena. Una fortissima criticità per la sicurezza del personale deriva dall’applicazione della sorveglianza dinamica e del regime aperto, una modalità organizzativa della vita detentiva che andrebbe praticata in presenza di spazi e strutture adeguate e, soprattutto, in realtà nelle quali la stragrande maggioranza dei ristretti fosse impegnata in attività lavorative, formative o scolastiche. Attualmente, invece, la sorveglianza dinamica è ampiamente diffusa, ed ha determinato in moltissimi istituti una situazione di totale ingovernabilità, dove i detenuti trascorrono il loro tempo nell’ozio, con gravi ripercussioni sulla sicurezza del personale, delle strutture, dei detenuti più fragili. Questa situazione, fortemente problematica, è acuita dalle carenze di organico del personale penitenziario, sia nei profili della polizia penitenziaria che in quelli degli operatori del trattamento. Per questo, chiediamo che a questo personale vengano riconosciute condizioni di lavoro migliori, attraverso l’incremento degli organici, l’ammodernamento delle strutture, che è essenziale per l’applicazione dei principi dell’ordinamento penitenziario in termini di sicurezza e attività rieducative, l’adeguamento del trattamento economico alle responsabilità correlate alle funzioni esercitate. Un passaggio essenziale sarà l’inserimento di tutto il personale in servizio negli istituti penitenziari per adulti e per minori, attualmente inquadrato nel comparto funzioni centrali, all’interno dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria, per porre fine ad una decennale e disfunzionale divisione tra i lavoratori, impegnati nel raggiungimento del medesimo fine istituzionale. Al riguardo, ci piace evidenziare un passaggio della relazione finale della Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, nota come Commissione Ruotolo2 : “Quando ci riferiamo alla “decenza” delle condizioni di vita non possiamo non comprendere nel discorso la qualità della vita di chi, a diverso titolo, opera nelle istituzioni penitenziarie. Il personale – tutto – ha diritto di lavorare in un ambiente decoroso e le istituzioni hanno il dovere di garantire condizioni che permettano alle professionalità presenti negli Istituti di operare in modo sereno ed efficace, in un contesto che assicuri il rispetto dei diritti non solo di chi è recluso ma anche di coloro che sono chiamati a svolgere un compito delicatissimo: accompagnare il condannato nel percorso di reinserimento, di ricostruzione del legame sociale, sempre assicurando l’ordine e la sicurezza”. Si tratta di un opportuno richiamo alle enormi difficoltà operative del personale, nella consapevolezza che il perseguimento del fine istituzionale di cui all’articolo 27 della nostra Costituzione non può prescindere dall’instaurare adeguate condizioni di lavoro per tutti gli operatori penitenziari. Giustizia minorile Con sempre maggiore e preoccupante frequenza, la cronaca riporta gravi episodi di violenza i cui protagonisti sono giovani e giovanissimi, spesso minori: nelle aree metropolitane, si va diffondendo il fenomeno delle baby gang, le bande giovanili dedite alle rapine, alle aggressioni a sfondo sessuale, e ad altre condotte penalmente rilevanti, caratterizzate da un alto grado di violenza, che destano un elevato allarme sociale. Crediamo che la risposta a questo fenomeno debba articolarsi prioritariamente sul piano della prevenzione in senso lato, innescando percorsi educativi e formativi specifici, ma anche su quello della repressione, coinvolgendo tutti gli attori istituzionali, prevedendo anche una parziale revisione del codice di procedura penale per i minorenni, adottato con il DPR 488 del 1988. Come è noto, detto codice è ispirato ad alcuni principi: l’adeguatezza alla personalità del minore e alle sue esigenze educative; la minima offensività, che prevede interventi alternativi al carcere, perdono giudiziale, non luogo a procedere, prescrizioni, permanenza in casa, sospensione del processo e messa alla prova; la destigmatizzazione, per tutelare la riservatezza e l’anonimato; la residualità della detenzione, vista come extrema ratio, vigente la misura della comunità, intermedia tra il carcere e la permanenza in casa; la autoselettività del processo penale, che garantisce il primato della esperienza educativa sulla prosecuzione del processo. Il codice penale minorile prevede inoltre le misure di sicurezza della libertà vigilata e del riformatorio giudiziario, le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata e, infine, l’istituto della mediazione penale minorile. Se è vero che la normativa vigente è orientata prioritariamente verso le esigenze educative e formative del minore, l’attuale recrudescenza della violenza agita dai minori, ci induce a qualche riflessione sulla efficacia del sistema. Crediamo infatti che ogni percorso pedagogico non possa prescindere da un momento punitivo e sanzionatorio, la mancanza del quale può indurre un malinteso senso di impunità che può incoraggiare una personalità immatura a reiterare le condotte devianti. Sulla scorta di quanto detto, nella consapevolezza che i minori devono rimanere destinatari di percorsi penali diversi da quelli riservati agli adulti, crediamo però che non possa più rimanere come residuale la misura del carcere, nei confronti degli autori dei reati più efferati, di quelli socialmente pericolosi, di tutti quei soggetti incapaci di agire la benché minima empatia nei confronti del prossimo. La punizione non deve essere mai una vendetta, ma la sua estrema diluizione può indebolire fortemente l’azione pedagogica nel momento di rottura generato dalla condotta deviante e dal reato. All’interno di questo scenario, diventa essenziale lavorare per un concreto miglioramento degli istituti minorili, con riguardo alla qualità delle attività destinate ai ragazzi e all’entità dei fondi disponibili per le stesse, all’idoneità delle strutture e degli spazi che li ospitano, al numero degli operatori presenti, oggi fortemente carenti, allo scambio quotidiano con la comunità esterna e con le famiglie, ove presenti, nell’ottica di rendere il percorso penale intramurario meno doloroso e più fecondo per quei giovani che si sono resi autori dei reati più gravi.

Crediamo, in conclusione, che il sistema penitenziario minorile debba adeguarsi alla normativa che lo disciplina, e non restare viceversa negletto, perché meramente residuale, all’interno del complesso panorama della esecuzione penale riservata ai minori. Uffici giudiziari Nella prima intervista rilasciata all’uscita del Quirinale, subito dopo il giuramento prestato in qualità di Ministro della Giustizia, Ella ha indicato, tra le priorità del Suo mandato, l’esigenza di accorciare la durata dei processi e di procedere all’implementazione degli organici del personale giudiziario. Questi due obiettivi coincidono perfettamente con due nostre richieste, tra le tante, che negli anni abbiamo rivolto ai diversi Governi e ai Ministri che si sono succeduti. Crediamo infatti che le gravissime carenze degli organici del personale giudiziario, che sono una delle cause principali della lunghezza insopportabile dei procedimenti, vadano sanate immediatamente attraverso assunzioni massive nei diversi profili professionali; riguardo questi ultimi poi, si pone come non più rimandabile la loro nuova definizione con il contestuale inserimento all’interno dell’ordinamento giudiziario, stante lo stretto collegamento del lavoro svolto dal personale giudiziario amministrativo con quello del personale di magistratura. Al riguardo, si osserva che la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 103 del 22 marzo 2022, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con riferimento alle norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, nel caso di specie del personale giudiziario. Nel dovuto rispetto della pronuncia della Suprema Corte, ribadiamo che permane a nostro parere l’esigenza di differenziare la collocazione del personale giudiziario all’interno di una realtà autonoma rispetto al comparto delle Funzioni centrali, circostanza peraltro mai negata nell’ordinanza citata in premessa. Le motivazioni della richiesta risiedono principalmente nella specificità ed unicità delle attività svolte da questi lavoratori, che consistono nell’assistenza ed ausilio al magistrato, attività che non si sostanziano in semplici mansioni, ma integrano delle vere e proprie funzioni, attività cioè demandate dalla legge. La differenziazione in parola dovrà riguardare certamente anche il trattamento economico, che dovrà essere adeguatamente rimodulato verso l’alto, mentre andrà contestualmente considerata la reintroduzione del personale giudiziario all’interno dell’ordinamento giudiziario, e quindi in un rapporto di diritto pubblico. Una riforma in tal senso appare estremamente opportuna, specie dal punto di vista della tutela giurisdizionale, che sarebbe così devoluta alla giustizia amministrativa (e non invece al giudice del lavoro, come attualmente impone la contrattualizzazione del personale giudiziario), superando in tal modo una situazione che, pur non integrando profili di illegittimità, certamente si delinea come fortemente inopportuna in quanto il datore di lavoro coincide con il giudice che decide su controversie riguardanti personale giudiziario che, spesso, presta servizio nello stesso ufficio del giudice creando, quanto meno, dubbi di parzialità. Con riferimento alla durata dei processi, ricordiamo che l’impegno assunto dall’Italia, per dar seguito alle precise richieste dell’Europa, è di ridurre del 40% la durata dei procedimenti civili, e del 25% la durata di quelli penali, considerato che la lunghezza dei procedimenti nel nostro Paese supera enormemente quella degli altri Paesi europei (con una media, nel civile, di 1.120 giorni, a fronte dei 499 della Germania e dei 395 della Francia). Le conseguenze di questa criticità sono molteplici, dall’enorme numero di procedimenti penali che si estinguono con la prescrizione, alla crescente delegittimazione di un intero sistema che scoraggia gli investitori, soprattutto stranieri, fino ad una vera e propria negazione del concetto stesso di giustizia. In riferimento a quelli che sono stati individuati come possibili rimedi all’attuale gravissima situazione, condividiamo sicuramente l’idea di velocizzare l’iter processuale, attraverso il potenziamento dell’Ufficio del processo con l’assunzione di esperti che possano coadiuvare il magistrato, la digitalizzazione delle cancellerie, la realizzazione di nuovi edifici per ospitare gli uffici. Ma è sul primo punto che vogliamo soffermarci, per evidenziare alcune nostre perplessità, in quanto è emerso che molte delle assunzioni previste prevedono dei contratti a termine, della durata massima di tre anni; nutriamo anche forti dubbi che questo personale, se da una parte sia di aiuto ai magistrati, lo sia altrettanto alle cancellerie, che ormai sono semideserte per le forti carenze di organico. Crediamo che questa sarebbe una scelta profondamente errata, che consentirebbe soltanto (e non in modo certo) un riallineamento temporaneo dei ritardi della giustizia in termini di provvedimenti, ma non in termini di arretrato, dato che senza il personale che lo notifica e lo mette in esecuzione, ogni provvedimento giurisdizionale è destinato a rimanere lettera morta, determinando entro breve tempo un nuovo ingolfamento del sistema, mancando personale che esegua il lavoro dei magistrati. Se davvero si vuole rendere efficiente la nostra giustizia, il rinnovamento della forza lavoro dovrà avere carattere strutturale e permanente, focalizzandolo sulle cancellerie, considerato anche l’elevato numero di pensionamenti che seguiranno. Non è più pensabile, infatti, che per funzionare la giustizia italiana si debba far ricorso al precariato, come troppe volte è accaduto in passato, quando si sono susseguite le assunzioni di personale raccolto da altri enti o amministrazioni (NATO, CRI, etc…) o lo “sfruttamento” (sic!) di tanti giovani tirocinanti, impiegati per anni in ruoli chiave dell’amministrazione, per la misera somma di circa 400 euro mensili. A tal fine sarebbe opportuno stabilizzare il personale precario già presente, come i tanti operatori giudiziari che stanno contribuendo moltissimo alla funzionalità degli uffici giudiziari, lavoro che rischia di diventare inutile nel caso di mancata riconferma di tale personale.

In ultimo, non per importanza, è essenziale concretizzare l’avvio dell’area delle elevate professionalità (c.d. IV area), come prevista dall’ultimo contratto, senza farvi confluire personale estraneo all’amministrazione giudiziaria ma, viceversa, soltanto personale amministrativo che conosca a fondo tutti i complessi meccanismi del sistema, al fine di garantire il puntuale funzionamento degli uffici. In conclusione, siamo fermamente convinti che una riforma della giustizia, per essere realmente efficace, debba necessariamente passare per una profonda valorizzazione del personale già in ruolo, con il riconoscimento di retribuzioni più idonee alle delicate funzioni svolte, anche con la istituzione, in aggiunta a quella già percepita, della indennità di “ausilio giurisdizione”, equiparata a quella prevista dall’Agenzia delle Dogane, al fine di allinearle con quelle, molto più elevate, degli omologhi colleghi europei. In merito a quanto sopra illustrato, siamo disponibili ad incontrarLa nei tempi e modi che Ella riterrà opportuni. Cordialità.

1 Dati della sezione statistica dell’Ufficio del Capo del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria

2 Ministero della Giustizia – Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario – Relazione finale – dicembre

Il Coordinatore Nazionale Paola Saraceni 347.0662930 fsi.funzionicentrali@usaenet.org