Al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede

Signor Ministro,

torniamo a scriverle in merito al persistere e all’acuirsi dei gravissimi problemi che affliggono le nostre carceri: la carenza di personale in primis, che rende il lavoro della polizia penitenziaria e quello degli operatori del trattamento gravoso e rischioso, ma anche spesso sterile, laddove non è possibile garantire l’offerta di opportunità di reinserimento ai ristretti (lavoro, formazione professionale, scuola) mentre il personale non può maturare una profonda conoscenza degli stessi, presupposto indispensabile per avviare qualsiasi attività trattamentale, a causa della sproporzione tra il numero dei ristretti e quello degli operatori.

Occorre destinare i detenuti più meritevoli e quelli che comunque manifestano reali motivazioni al cambiamento a percorsi realmente risocializzanti, fondati sull’attività lavorativa e la formazione professionale, nonché sulla applicazione progressiva di forme di esecuzione penale esterna, mentre per gli altri sarebbe opportuno riaprire gli istituti sulle isole ed aumentare le colonie agricole, per far scontare loro le lunghe pene inflitte in modo adeguato, lontani dall’ozio sul presupposto fondamentale della certezza della pena, baluardo insormontabile del diritto penale.

 

La deflazione della popolazione carceraria dovrà proseguire sulla scorta degli accordi da stipulare per far scontare la pena agli stranieri nei loro Paesi di origine: è intollerabile che mentre si dibatte sulla opportunità o meno di far entrare migliaia di migranti nel nostro Paese, circa un terzo della popolazione detenuta sia straniera, permettendo così ai peggiori tra tutti (in quanto autori di reati, spesso anche molto gravi e ripugnanti) di soggiornare per anni nei nostri istituti, a nostre spese, salvo poi dare esecuzione a espulsioni che spesso non vanno a buon fine.

Presupposto indefettibile della riforma penitenziaria deve essere quella del personale, da inquadrare tutto all’interno del comparto sicurezza, mediante la confluenza nei ruoli tecnici della polizia penitenziaria di tutto il personale del comparto funzioni centrali dipendente del DAP e del DGMeC, adeguando gli organici al numero delle presenze e alle reali esigenze di una detenzione che coniughi realmente sicurezza e trattamento, espiazione e risocializzazione.

Questa riforma fondamentale servirebbe a sanare una dannosa sperequazione di trattamento esistente tra il personale all’interno dei nostri istituti di pena, che ha prodotto e produce da decenni disparità e malumori tra colleghi che lavorano fianco a fianco, perseguendo il medesimo fine istituzionale e condividendo disagi e rischi di una professione unica nel panorama della pubblica amministrazione.

Da ultima, si ricorda in questa sede la recente disposizione che prevede la trattenuta dell’indennità penitenziaria per ogni giorno di malattia, a carico del solo personale del comparto funzioni centrali, circostanza questa che ha ampliato ancora di più la disparità di trattamento tra il personale inquadrato nei due comparti – sicurezza e funzioni centrali- anche rispetto al fondamentale diritto alla retribuzione in caso di malattia: una situazione assolutamente non più tollerabile.

Si chiede pertanto, in conclusione, di avviare la riforma del personale penitenziario nel senso da noi indicato, senza più indugi o ritardi, al fine di garantire i diritti fondamentali di questi lavoratoti ed il conseguente corretto funzionamento della istituzione cui gli stessi sono preposti.

Si ringrazia per l’attenzione, e si porgono distinti saluti.

Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

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