Alla Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia

“FAMILY ACT 2022”

La nuova legge che contempla misure per le famiglie ma le famiglie dei lavoratori sono tutte eguali?

Nell’ambito degli interventi a sostegno della genitorialità e dei giovani previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il 27 aprile 2022 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Family Act 2022, un provvedimento legislativo che contiene una serie di misure pensate per le famiglie (Legge 7 aprile 2022, n. 32, “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”). In realtà il Family Act prevede una serie di deleghe al Governo per il raggiungimento di alcuni obiettivi che lo stesso dovrà realizzare per mezzo di provvedimenti mirati, da emanare nell’arco dei prossimi due anni. Sinteticamente, i due macro obiettivi del provvedimento in esame possono essere indicati nel potenziamento della funzione sociale ed educativa della famiglia e nel contrasto alla contrazione della natalità. In particolare, il Family Act si prefigge di conciliare i tempi di vita privata con quelli professionali, supportando le famiglie nelle spese per la crescita e l’educazione dei figli, con uno sguardo particolare alla condizione femminile, nel tentativo di promuovere una effettiva parità di genere all’interno dei nuclei familiari, dove è quasi sempre la donna a farsi carico dei figli, compito reso ancor più gravoso dalla coesistenza di un impegno lavorativo, spesso sottopagato e poco tutelato. Gli strumenti messi in campo dal Family Act sono principalmente esenzioni, agevolazioni fiscali, detrazioni: più in generale, si tratta di benefici economici finalizzati ad aiutare le famiglie nella crescita ed educazione dei figli, che andiamo ad esaminare più nel dettaglio.

L’assegno unico universale (AUU) è parte integrante del Family Act, anche se per motivi di urgenza, la materia è stata precedentemente assegnata al Governo per mezzo della legge delega 1 aprile 2021, n. 46, ed è operativa dal marzo 2022. La misura prevede un contributo a tutte le famiglie con figli, a prescindere dal reddito, e varia dai 50 ai 175 euro mensili per ogni figlio minorenne (che oscilla poi tra gli 85 ed i 25 euro per i figli tra i 18 e i 21 anni in alcuni casi): viene calcolato sulla base dell’ISEE del nucleo familiare, valido dal settimo mese di gravidanza fino al 21mo anno di età. Non ci sono limiti all’età del figlio in caso di disabilità dello stesso. Dall’esame degli importi, si evince l’esiguità di quelli previsti per le fasce di reddito con ISEE superiore ai 40mila euro/anno, per le quali sono previsti importi mensili di 50 euro per ogni figlio minore, e addirittura di 25 euro per un figlio maggiorenne (18-21 anni): ci si chiede quale sostegno possano costituire simili importi, che dovrebbero essere, a nostro parere, aumentati in modo sensibile o, se lasciati inalterati per carenza di risorse, allora sarebbe opportuno cumularli con quelli destinati alle fasce meno abbienti. E’ prevista poi l’erogazione di un contributo fino a 3000 euro per sostenere le spese per le rette degli asili nido o di servizi di assistenza domiciliare per minori con patologie. Gli importi variano in base all’ISEE. Ci sono poi i contributi per genitori disoccupati o monoreddito con figli a carico affetti da patologie diverse, compresi i disturbi specifici dell’apprendimento, per un importo massimo di 500 euro al mese; così come è stato previsto l’aumento dei contributi alle spese per l’acquisto di libri scolastici, per viaggi di istruzione, abbonamento ad associazioni sportive, frequenza di corsi di lingua… sulla falsariga della già esistente Carta Cultura. Una misura del Family Act, fortemente discriminatoria riguarda la previsione dei nuovi congedi parentali di paternità, previsti per tutte le categorie professionali ma dalla quale sono attualmente esclusi i dipendenti pubblici, per i quali il Ministro per la Pubblica Amministrazione dovrà approvare una norma specifica che individui e stabilisca ambiti, modalità e tempi di armonizzazione della disciplina: una scelta inspiegabile, quasi come se ci trovassimo di fronte a famiglie di serie A (quelle dei lavoratori del privato) e famiglie di serie B (quelle dei pubblici dipendenti). Analoga discriminazione riguarda la previsione di uno sgravio contributivo nella misura del 50% dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri dipendenti del settore privato, ma non le madri lavoratrici del pubblico impiego.

Anche sulla disciplina dello smart working permane una ingiustificabile distinzione tra settore pubblico e settore privato. Nel 2022 infatti, per le aziende private è ancora ammessa la forma semplificata di smart working mentre per il settore pubblico no. In pratica, nel settore pubblico l’accesso al lavoro agile è consentito solo dopo aver stipulato un accordo individuale con il lavoratore, e non attraverso la forma semplificata che vige invece nel settore privato. In conclusione, il Family Act, che sicuramente contiene delle misure importanti in favore delle famiglie, presenta tuttavia delle profonde discriminazioni laddove distingue i lavoratori del settore privato da quelli del settore pubblico, penalizzando le famiglie di questi ultimi, come sopra evidenziato.