Signori Ministri, Signor Capo del Dipartimento, quanto è emerso dalle dichiarazioni del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Prof. Mauro Palma, a margine di un incontro sulla vulnerabilità in carcere, desta in noi grandissimi allarme e preoccupazione.
Il quadro è davvero inquietante: aggressioni sempre più frequenti al personale (ben 46 in meno di un mese), sovraffollamento crescente (siamo ormai al 130%, con quasi 61mila presenze a fronte di poco più di 50mila posti disponibili) con il 33% dei detenuti stranieri, con tutti i problemi legati alle differenze linguistiche, culturali, religiose che rendono particolarmente problematica la loro gestione e la convivenza con gli italiani.
Gravissimo anche il dato dei suicidi: nel 2019 sono stati 53 tra i detenuti ma anche 9 tra il personale di polizia penitenziaria, segnale di un disagio generalizzato e trasversale all’interno del mondo carcere.
Il Garante ha sottolineato poi la estrema criticità delle strutture sanitarie, laddove sono assolutamente insufficienti le REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) ed estremamente carenti le articolazioni per la salute mentale.
Relativamente a questo ultimo tema, è di tutta evidenza come la riforma che ha assegnato le competenze sanitarie alla Sanità pubblica[1], esautorando l’Amministrazione penitenziaria da quello che era stato uno dei suoi compiti più delicati, abbia fallito completamente .
I
motivi sono molteplici, e spesso sono legati alla enorme differenza che esiste
tra le Regioni in termini di risorse, umane e finanziarie, organizzazione,
strutture: ciò ha determinato una profonda sperequazione di trattamento nei
confronti dei malati detenuti, assolutamente inaccettabile se si considera che,
a differenza di quanto accade ai cittadini liberi, quelli ristretti non hanno
la possibilità di scegliere dove curarsi e da chi farsi curare.
Inoltre, non va dimenticato che la medicina penitenziaria ha sviluppato negli anni un suo know-how, strettamente correlato alla dimensione restrittiva cui sono soggetti i detenuti e che inevitabilmente ne condiziona molto spesso – quando non le determina in toto – le patologie; così come – all’estremo opposto – esiste una casistica molto ampia legata alla simulazione strumentale della patologia, anch’essa strettamente connessa alla dimensione carceraria.
La riforma del 2008 ha di fatto disperso decenni di esperienza specifica di tantissimi professionisti della sanità operanti all’interno degli istituti penitenziari, appesantendo il carico di lavoro delle strutture esterne, a danno dei liberi cittadini, e penalizzando oltremodo i detenuti che prima potevano avvalersi di un contatto diretto e costante con professionisti esperti anche delle particolarissime dinamiche del mondo carcere.
Crediamo – e chiediamo con forza alle SS. LL. – che occorra fare un passo indietro rispetto alla delicata materia, e prevedere il ritorno della gestione della sanità penitenziaria al Ministero della Giustizia, nello specifico al Dipartimento penitenziario, per garantire la piena tutela del diritto alla salute dei detenuti, come previsto dalla nostra Costituzione.
Si ringrazia per l’attenzione, e si resta in attesa di conoscere le determinazioni che saranno assunte nel merito.
[1] Dal 14 giugno 2008, le competenze sanitarie della medicina generale e specialistica penitenziaria, i rapporti di lavoro e le risorse economiche e strumentali, prima di allora in capo al Ministero della Giustizia, sono state trasferite al Sistema sanitario nazionale e quindi a Regioni e Asl. Il D.P.C.M. 30 maggio 2008 ha completato il trasferimento di competenze iniziato con il D.Lgs. n. 230/1999 , dell’allora ministro della salute Rosi Bindi, attraverso il quale era stata decisa la riconduzione della sanità penitenziaria nel Servizio sanitario nazionale.
Cordiali saluti.
Il Coordinatore Nazionale Paola Saraceni 347.0662930