In Italia si continua a percepire lo smart working come una “concessione-prebenda” e non come una normale “modalità operativa” come nel resto dell’Europa del Nord.

Ancora non è morta ed è pesante l’etichetta dei “fannulloni”, alimentata ad arte, a fronte di qualche scandalo rispetto a milioni di dipendenti che lavorano con abnegazione ogni giorno a fronte dei salari più bassi d’Europa. Partiamo dai concetti che il lavoro non è “di più o di meno” o il lavoratore “non è migliore o peggiore” a seconda se si sia in smart working o in presenza ed esistono tutti i mezzi per il controllo e l’efficacia delle prestazioni. E’ “dominante” una visione “restrittiva” delle Leggi fin qui adottate (e stese) per lo smart working mentre il semplice “buon senso” (non diciamo lungimiranza) dovrebbe andare verso un’interpretazione-estensione di tipo “espansiva” poiché sempre di più sarà un tema centrale e fondamentale per la Salute, l’Ambiente e la Famiglia soprattutto nei grandi agglomerati urbani ove si aggiunge anche una componente di benessere psichico lapalissiano. Molti studi confermano la tesi per i quali più lavoro a distanza equivarrebbe a un minore consumo di carburante. Interpellato da Fanpage.it, per esempio, il responsabile dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano Mariano Corso spiega che: “L’impatto legato alla riduzione degli spostamenti, calcolato considerando la percentuale di lavoratori che dichiarano di utilizzare l’auto per recarsi al lavoro, è stimabile in 1,8 milioni di tonnellate di CO2”. Una cifra destinata a salire fino a 2,5 milioni, se si consentisse al resto dei 6,5 milioni di lavoratori che hanno lavorato in remoto durante la pandemia di continuare a farlo per almeno il 50 percento del tempo. Si tratterebbe di un risparmio di costi per le famiglie stimabile nell’ordine di mille euro a lavoratore per anno, ma anche un notevole contributo alla riduzione delle emissioni. Dice Silvestrini che la limitazione della mobilità “può servire anche a compensare in parte l’impatto di altre scelte temporanee per affrontare la crisi energetica, come l’aumento dell’utilizzo delle centrali a carbone”. In un articolo pubblicato da alcuni studiosi sulla rivista “Science Direct” gli autori sottolineano come negli edifici commerciali della Gran Bretagna i consumi energetici siano molto aumentati negli ultimi anni, anche a causa di evidenti sprechi. Inoltre, solo il 50-60 percento delle postazioni in funzione sono effettivamente utilizzate. Di conseguenza, conclude la ricerca, una riduzione degli sprechi e una razionalizzazione degli spazi – incoraggiata da una modalità ibrida di lavoro, in parte in presenza e in parte a distanza – potrebbe arrivare a dimezzare i consumi energetici, rispetto all’era pre-Covid.

Questa stima viene confermata anche a Fanpage.it da Mariano Corso: “L’esperienza di questi anni ci dimostra che l’applicazione intelligente del lavoro a distanza consente una riduzione degli uffici e dei relativi costi, compresi ovviamente quelli energetici, di un ordine di grandezza tra il 30 e il 50 percento”. Si potrebbero citare altre decine di studi sul perché lo smart working sia una chiave fondamentale per attraversare le attuali, e future, sfide-difficoltà e basti pensare che sempre in Nord Europa si sta sperimentando la settimana lavorativa corta (a quattro giorni) con risultati (attualmente) del tutto positivi. Perché in Italia è sempre così difficile accettare semplici cambi organizzativi ed innovazione? Perché nel privato è ampiamente esteso sino a tre/quattro giorni a settimana il ricorso allo smart working mentre nella PA si fatica ad arrivare a due? Riteniamo che proprio il Ministero della Salute, dato che nel nuovo assetto organizzativo (momentaneamente sospeso dopo la caduta del Governo Draghi) prevedeva una Direzione Generale “Salute ed Ambiente” , debba essere “capofila” nell’innovazione ed incentivare questa modalità perché i risultati positivi e le ricadute, proprio su “Ambiente e Salute”, sono inequivocabili. Allargare il più possibile le maglie ed i giorni per il ricorso a tale modalità, ci sembra la migliore strada da perseguire. All’orizzonte non ci sono più alibi ma solo scelte di natura politica.

Il Coordinatore Nazionale Maurizio Guarino Di Onara – fsi.funzionicentrali@usaenet.or