Si susseguono in questi giorni, fra riunioni ufficiali ed ufficiose le trattative per il rinnovo dei 4 contratti dei comparti delle pubbliche amministrazioni. Il comparto delle funzioni centrali che la parte pubblica vorrebbe chiudere prima di natale, per diverse ragioni, prima di tutto economiche, fa da apripista. Ma le ragioni politiche non sono affatto secondarie. Non vi è dubbio infatti che il comparto in questione sia quello a più stretto contatto del Governo, non a caso il nucleo centrale di tale comparto sono proprio i vari ministeri. Si comprende quindi facilmente perché ad ogni passo, ogni bozza di documento che esce all’ARAN venga anticipato sui giornali come un dato di fatto già acquisito e finisca per sminuire il ruolo delle organizzazioni al tavolo. C’è una sostanziale dose di arroganza in questo comportamento ma la strategia è chiara: si fa come diciamo noi; indipendente da cosa direte voi ai tavoli. E sul tavolo delle funzioni centrali questo potrebbe anche funzionare; proprio per la cattiva abitudine di alcune organizzazioni di fare trattative ufficiose che finiscono per sminuire quelle ufficiali; un’abitudine così radicata che in alcune occasioni travalica anche l’arroganza e sfocia nella maleducazione istituzionale.
Ma le contraddizioni a cui si è esposto il Governo sono troppe e riguardano oltre che la parte normativa anche la parte economica. Non è un segreto per nessuno che in parlamento si stia finanziando aggiuntivamente, cioè oltre i famosi 85 euro medi pro capite, il futuro contratto dei dirigenti scolastici per portare i loro aumenti a circa 400 euro pro capite. Facile, si dirà, sono pochissimi. Ebbene si, ma questo apre un problema di giustizia sociale grande come un condominio. E il famoso aumento concordato a novembre dalla “triplice”, gli 85 euro medi, oggi, viene vissuto da tutti come un’ingiustizia, una presa in giro, insomma come un calcio nei denti. Da tutti tranne che dalle organizzazioni sindacali al tavolo delle funzioni centrali che nei loro comunicati ribadiscono di volere un “buon contratto” che distribuisca gli 85 euro medi già concordati a novembre.
Quindi è chiaro che il significato delle parole “obiettivo: un buon contratto” assume significati diversi a seconda di chi le pronuncia. E assume significati diversi anche fra le diverse federazioni che compongono la cosiddetta triplice: infatti le loro organizzazioni della scuola hanno già fatto sapere che rivendicano il pieno utilizzo dei fondi della “buona scuola” all’interno del contratto per portare gli aumenti a quota 200 euro pro capite. Figuriamoci a cosa dovremo assistere nelle aree dirigenziali e in particolare nei contratti della sanità, in cui il finanziamento non dipende direttamente dallo stato ma dal fondo sanitario nazionale. Comparto in cui la nostra organizzazione non rinuncerà certo a dare battaglia e dove già c’è parecchio fermento per via delle norme che si vogliono introdurre.
Bonazzi, il segretario generale FSI-USAE durante l’odierno briefing con i coordinatori nazionali ha dichiarato: <<“Firmare presto”, non significa “chiudere bene” ne, tanto meno, fare un “buon contratto”. La tesi che gli 85 euro medi ai lavoratori della P.A. bastano in realtà nell’immaginario collettivo è già saltata. E più nessuno vi si sente vincolato. A partire da noi, che abbiamo sempre chiesto, anzi abbiamo sempre rivendicato, il recupero del potere di acquisto delle buste paga dei lavoratori p.a. con degli aumenti di 250 euro mensili medi pro capite. Ma non è solo una questione economica, c’è di più. È necessario perseguire il recupero di spazi per le dinamiche professionali e la qualità della vita nei luoghi di lavoro. La nostra filosofia e il nostro approccio sono orientati a sfruttare ogni spazio che la contrattazione consente; più che ad un tavolo lo spazio negoziale, oggi, assomiglia a una trincea. >>
Ufficio Stampa Fsi-Usae