Non c’è pace per la pubblica amministrazione in uno Stato in cui si combatte una battaglia senza tregua e per dirla col pugilato con colpi “sotto la cintura”
“Tutti a casa, si proceda al voto, e chi vince indichi la strada che si dovrà percorrere e il governo che deve attuarla. Fino ad adesso solo danni per i lavoratori e benefici solo per la finanza delle banche.”  È la strada che indica il Segretario Generale USAE.

Da una parte è pronto il nuovo “Titolo V” della Costituzione per blindare tagli e riforme (oggi primo esame) e riaffermare il potere dello stato sulle Regioni e dall’altra alla camera e al senato si prova a smontare ad uno ad uno i provvedimenti del governo dalle agenzie fiscali alla riforma delle pensioni.
È la fine del federalismo. Di certo, è la fine del federalismo così come l’Italia lo ha conosciuto fino a oggi. “Stiamo pensando a un intervento chirurgico sul titolo quinto della Costituzione per aggiustare alcune cose”, aveva annunciato mercoledì scorso il ministro Filippo Patroni Griffi alla commissione Affari Costituzionali, alla Camera. Versione poi confermata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà. E, a giudicare dalla relazione che accompagna il disegno di legge di modifica costituzionale, però, più che di un intervento chirurgico, si tratta di una rivoluzione. Che potrebbe cominciare già oggi, quando la legge sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri. I tempi sono strettissimi: per cambiare la Carta serve un doppio passaggio in Parlamento, tra Camera e Senato. E serve la maggioranza qualificata dei due terzi, altrimenti scatta il referendum confermativo.
Nel mentre ci si prepara a questo intanto c’è tensione fra governo e maggioranza : a rischio – infatti – la riforma delle pensioni e, a Montecitorio, è stato presentato un emendamento che prevede una “Razionalizzazione organizzativa dell’amministrazione finanziaria” che vanifica le norme della “spending review”.
Il governo quindi si prepara a bocciare il ddl Damiano, condiviso da Pd, Pdl, Udc e opposizioni, che introduce una serie di scalini per permettere ai lavoratori di 58 anni di andare in pensione con 35 anni di contributi fino al 2017. Il provvedimento Damiano, che amplia la platea degli esodati e modifica la riforma delle pensioni targata Fornero, contenuta nel Salva-italia, è arrivato in Aula alla Camera. La proposta di legge è stata approvata con un voto bipartisan in commissione Lavoro ma richiede una copertura di 5 miliardi, come ha spiegato all’assemblea Cesare Damiano (Pd), su cui per ora non c’è il via libera della commissione bilancio: manca il parere della commissione presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti che sta attendendo la relazione tecnica della ragioneria generale. E, nel corso delle votazioni sul ddl di delega fiscale (A.C. 5291) è stato votato all’unanimità dalla Commissione Finanze a Montecitorio un emendamento del relatore Fluvi che prevede una “Razionalizzazione organizzativa dell’amministrazione finanziaria”. Tale emendamento, che è stato approvato nonostante il parere contrario del rappresentante del Governo, il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, sospende l’applicazione delle disposizioni concernenti l’accorpamento delle Agenzie fiscali, contenute nel decreto legge sulla spending review (n. 95/2012, convertito dalla legge n. 156/2012), prevedendone poi la soppressione a decorrere dall’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della delega. Inoltre, le previsioni contenute nell’emendamento, nel ridefinire talune competenze delle Agenzie fiscali, sono finalizzate anche a realizzare un complessivo potenziamento delle strutture deputate alla lotta contro l’evasione fiscale.
Commentando le notizie pervenute a margine di una riunione del Coordinamento Nazionale il Segretario Generale, Adamo Bonazzi, ha dichiarato:
“Basta non ne possiamo più di queste manfrine. Vadano tutti a casa, si proceda al voto, e chi vince indichi la strada che si dovrà percorrere e quale Governo che deve attuarla. Fino ad adesso questo Governo ha prodotto benefici esclusivamente per la finanza delle banche e solo danni per i lavoratori. E’ legittimo che ogni forza politica abbia una diversa visione circa le soluzioni da adottare ma a forza di smontare e rimontare i provvedimenti ogni sforzo sarà reso inutile ogni investimento sarà buttato via e gli unici a rimetterci saranno i lavoratori delle pubbliche amministrazioni che non ne possono più di questa situazione. I partiti con il voto ottengano una nuova legittimazione popolare, che a questo punto non hanno più, e decidano una volta per tutte qual è la strada da percorrere.”
Ufficio Stampa