Nel 1999, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite scelse la data del 25 novembre in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana, come giornata mondiale della violenza contro le donne.
Secondo il Rapporto EURES (Ricerche economiche e sociali) sul femminicidio in Italia, tra il 2000 e il 31 ottobre 2020 sono state uccise in Italia 3.344 donne, che rappresentano il 30% degli 11.133 omicidi volontari complessivi.

In particolare, nel 2019, sono state uccise 99 donne, di cui ben 85 all’interno dell’ambito familiare, a dimostrazione del fatto che spessissimo il carnefice è prossimo alla vittima, per vicinanza fisica e prossimità affettiva e relazionale.

Per quanto riguarda il 2020, nei primi dieci mesi, le vittime registrate sono state già 91: un anno critico questo, caratterizzato dai lunghi mesi della chiusura del Paese per contrastare la pandemia, periodo nel quale l’ISTAT ha rilevato che le chiamate al numero verde 1522 contro la violenza e lo stalking sono più che raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+120%), segno evidente che la forzata vicinanza ha fatto esplodere tensioni non più gestibili, che sono sfociate in episodi di violenza verbale, psicologica e fisica nei confronti di tantissime donne da parte di mariti e conviventi.

Infatti, le donne vittime di questi atti che hanno chiesto aiuto nel periodo 1 marzo – 16 aprile 2020 sono state 2013, quasi il 60% in più in confronto allo stesso periodo del 2019.

Infine, secondo i dati dell’associazione D.I.Re – Donne in rete – le donne che si sono rivolte ad uno dei loro Centri antiviolenza per avere un sostegno nel periodo immediatamente seguente il lockdown (6 aprile – 3 maggio 2020), sono state l’80% in più, rispetto allo stesso periodo del 2018.

Questi pochi dati, servono a fotografare la realtà italiana, e a ricordare l’esistenza di un problema che è innanzi tutto di natura culturale, considerando come tanti comportamenti violenti di uomini nei confronti delle donne, siano spesso causati da concezioni arcaiche e primitive del rispetto dovuto alle loro compagne, mogli, sorelle,… secondo uno stereotipo sub culturale duro a morire.

In questo senso crediamo che lo Stato debba giocare un ruolo essenziale: da un lato, prevedendo dei programmi scolastici sin dalla scuola primaria, che siano portatori di un messaggio sano ed in grado di costruire una nuova cultura nelle generazioni future; ma dall’altro, lo Stato deve essere in grado di agire, non soltanto di celebrare e di ricordare, al fine di dotare le donne degli strumenti indispensabili alla loro autonomia e indipendenza.

Ci riferiamo a uguali opportunità di impiego e uguali condizioni di lavoro, parità salariale senza alcuna discriminazione della maternità, con maggiori tutele per le madri lavoratrici, a cominciare da asili nido pubblici, gratuiti per le più indigenti e per le madri sole.

Crediamo che i sussidi, le case famiglia, tutto ciò che è nato per fronteggiare le emergenze ed i casi più disperati, sia essenziale e meritorio: ma il vero progresso, l’affermazione permanente della parità dei diritti tra uomo e donna, potrà passare solo attraverso una profonda trasformazione culturale, che deve però essere accompagnata da significativi miglioramenti del welfare e del mercato del lavoro, al fine di rendere questi cambiamenti strutturali e definitivi, e non semplici slogan da sbandierare una volta l’anno.

Coordinamento Donne FSI-USAE