Si è spento il 21 luglio, all’età di 88 anni, Nicolò Amato, che da gennaio 1983 a giugno 1993 fu a capo delle carceri italiane (prima, come Direttore generale degli Istituti di Prevenzione e Pena e, dopo il 1990, come Presidente del neonato Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria).
Nel decennio trascorso al vertice della politica penitenziaria nazionale, Amato si trovò a fronteggiare le due più grandi emergenze del dopoguerra, quella del terrorismo e quella mafiosa, delle quali aveva maturato in precedenza una conoscenza ed una competenza uniche quando, in qualità di magistrato, aveva rappresentato la Procura di Roma nei processi per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta, e in quello per l’attentato a Giovanni Paolo II.
Amato diede un impulso innovatore senza precedenti al mondo carcerario, con la ripresa dell’applicazione della riforma del 1975, contribuendo in modo decisivo a quella del 1986, la famosa legge Gozzini, e quella del 1990 che definì la riforma del Corpo, con lo scioglimento di quello degli Agenti di custodia e la nascita della Polizia penitenziaria.
Attraverso una profonda riorganizzazione all’interno degli istituti, Amato disegnò il c.d. “carcere della speranza”, fondato sulla creazione delle aree di competenza dei diversi profili professionali e sull’esigenza della loro continua integrazione sinergica, basata sul principio che l’apporto di ogni operatore contribuisce in maniera fondamentale al processo di conoscenza del soggetto recluso, presupposto essenziale per il perseguimento del fine istituzionale di cui all’articolo 27 della Costituzione.
Ma la grandezza della sua figura emerge anche da episodi minori, quei dettagli che fanno la differenza, come quando dopo l’omicidio della vigilatrice penitenziaria ad opera delle brigate rosse, raggiunse gli operatori del carcere femminile di Roma Rebibbia per portar loro la voce dello Stato, incoraggiandoli a non avere paura e promettendo che entro pochi mesi, come poi puntualmente si verificò, i responsabili sarebbero stati presi.
Oggi, nel ricordare questo grande uomo, fedele servitore dello Stato, ci piacerebbe vedere ancora figure di questo spessore ai vertici della pubblica amministrazione, perché del loro coraggio, della loro competenza, della loro autorevolezza il nostro Paese ha oggi disperatamente bisogno.
Il Coordinatore Nazionale
Paola Saraceni
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