Può essere previsto il licenziamento per l’utilizzo di Internet, per scopi personali, sul posto di lavoro? Ecco cosa dice la legge.
Con la diffusione dei social, sempre più utenti utilizzano i device elettronici (in primis lo smartphone) per accedervi ovunque essi siano: a casa, sull’autobus e anche sul posto di lavoro.
Ma il dipendente può accedere e navigare sui social o su Internet, per scopo personale, durante l’attività lavorativa?
Tra i doveri del lavoratore, in un rapporto di lavoro subordinato, c’è quello di mettersi a disposizione del datore di lavoro, per tutta la durata dell’orario lavorativo.
Durante l’orario di lavoro, infatti, il dipendente deve eseguire la prestazione lavorativa oggetto del contratto, attenersi alle direttive del datore di lavoro e lavorare con la massima diligenza possibile.
Perciò, se il dipendente, durante l’orario di lavoro, non esegue un compito per lui previsto, può essere soggetto ad una contestazione disciplinare.
Con l’avvento delle tecnologie e la diffusione dei social, però, c’è un rischio maggiore per il lavoratore di non adempiere adeguatamente ai suoi compiti.
Internet è ormai un mezzo utilizzato in quasi tutti i lavori, soprattutto in certi campi, così come i social network.
Ma se l’utilizzo dei social è legittimato dalla prestazione lavorativa è un conto, mentre un altro è se si utilizzano per scopo personale.
Un’attività del genere costituisce un inadempimento degli obblighi del dipendente di eseguire la prestazione di lavoro, durante l’orario lavorativo.
A volte le regole per l’utilizzo dei social, sul posto di lavoro, sono delineate dalla policy sull’utilizzo degli strumenti informatici o dal regolamento informatico aziendale, che solitamente ne vietano l’utilizzo. Ma in alcuni casi, è possibile che lo permettano, anche se in tempistiche molto limitate e a patto che non interferiscano con la prestazione lavorativa.
Nella quasi totalità dei casi, quindi, Internet non può essere utilizzato per scopi personali sul posto di lavoro, altrimenti si cade nell’illecito disciplinare.
Nell’ordinamento italiano, esiste il principio di proporzionalità della sanzione disciplinare. Perciò, il datore di lavoro deve scegliere la sanzione da applicare al lavoratore che ha sbagliato, in base alla gravità dell’infrazione commessa.
Nei casi più gravi, però, il datore di lavoro può procedere col licenziamento per giusta causa, quando l’illecito assume dei connotati di gravità, che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Nella sentenza n°3133 del 1° febbraio 2019, la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, ai danni di una lavoratrice, dopo un’indagine condotta dal datore di lavoro, basata anche sulla cronologia Intenet del computer utilizzato per lavorare.
Dalle analisi effettuate, infatti, era emersa una sproporzione tra le ore di lavoro della dipendente e le ore trascorse a navigare su Internet per scopi personali.
In questo specifico caso, il licenziamento era legittimo, perché il numero degli accessi per scopo personale era superiore al limite di tolleranza, basandosi sulle ore di lavoro prestate.