PER LE DONNE AFGANE…….e non solo!

Il completamento del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, ha aperto una profonda crisi, i cui effetti in termini di equilibri internazionali saranno più chiari in un futuro più o meno breve. Ciò che invece sta emergendo da subito è la spaventosa opera di repressione dei diritti umani fondamentali operata dai talebani: i nuovi (si fa per dire), padroni del Paese, agita principalmente nei confronti delle donne. A partire dalla fuga dei talebani da Kabul nel 2001, le donne afgane avevano conosciuto una nuova stagione, caratterizzata da un riconoscimento progressivo e parziale (nelle città, molto meno nei centri rurali) del loro diritto allo studio, al lavoro, ad un abbigliamento non tradizionale, alla libera circolazione: in altre parole, il diritto ad una maggiore uguaglianza rispetto agli uomini. Oggi, in pochissimi giorni, a seguito del disfacimento dell’esercito regolare afgano (addestrato ed equipaggiato per anni dalla NATO) e della conseguente conquista di Kabul da parte dei fondamentalisti islamici, la storia ha fatto un balzo indietro di venti anni, gettando nella disperazione e nel terrore l’intera popolazione, donne in primis. Il primo segnale del nuovo (in realtà, vecchio) corso è giunto nella conferenza stampa del portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid, che ha garantito che le donne saranno rispettate nei limiti dell’Islam, formula ambigua che non lascia spazio alla speranza, attesa l’interpretazione fondamentalista dell’Islam da parte dei talebani. E difatti, al di là delle dichiarazioni di facciata, mirate a tentare di rassicurare la comunità internazionale, vengono riportati già moltissimi episodi di intolleranza e di violenza: sono state strappate le immagini pubblicitarie di donne truccate o non vestite in modo tradizionale, è iniziato l’allontanamento dal posto di lavoro delle giornaliste televisive, si sta ripristinando l’obbligo per le donne di indossare il burqa, l’abito tradizionale che coprendo l’intera figura femminile di fatto ne elimina la presenza dalla vita pubblica, alla quale, peraltro, le donne possono partecipare soltanto se accompagnate da almeno un familiare maschio maggiorenne. Ma la cosa peggiore, quella che sta facendo fuggire terrorizzate dalle proprie case moltissime donne afgane nubili, è la minaccia concreta di essere rapite per diventare le spose schiave dei combattenti islamici, obbligate ad avere figli con loro, private di ogni diritto. Donne come oggetti, bottino di guerra, merce di scambio, un ritorno alle peggiori barbarie che si perdono nella notte dei tempi e con le quali invece siamo costretti a confrontarci oggi, anno 2021. Ed è questo il punto che qui vogliamo evidenziare, urlando con forza tutto il nostro sdegno: non possiamo tacere di fronte a tutto ciò, ma soprattutto non possiamo e non dobbiamo rimanere inerti, passivi, senza prendere alcuna iniziativa concreta in favore delle donne afgane per aiutarle ad uscire da questo incubo, quelle rimaste nel loro Paese e le tante che sono arrivate ed arriveranno qui da noi. Per le prime, dobbiamo mobilitarci in massa, per far sentire a livello globale la nostra condanna in modo forte, pressante, continuo, al fine di sollecitare la politica e la diplomazia ad agire in fretta e concretamente, per ripristinare il rispetto dei diritti fondamentali delle donne afgane nel loro Paese, e favorirne nel contempo la partenza attraverso la creazione di corridoi umanitari protetti; per quelle che incontreremo nelle nostre strade, senza burqa e senza i loro guardiani al seguito, magari attorniate dai loro piccoli, attiviamo un’accoglienza autentica ed inclusiva, perché queste donne e i loro figli hanno tutto il diritto di vivere in un Paese libero, con la possibilità di studiare e di lavorare. Se è vero, infatti, che le donne e gli uomini sono tutti uguali e hanno tutti gli stessi diritti, è altrettanto vero che la storia crea delle priorità nel diritto all’accoglienza, laddove questa non può essere estesa a chiunque in presenza di risorse comunque non infinite, in cima a questa priorità, oggi per noi, ci sono le donne afgane con i loro figli. Chiediamo a chiunque concordi con quanto abbiamo rappresentato, di condividere, amche al fine di contribuire a richiamare l’attenzione dei politici competenti, cui invieremo il tutto. Vi ringraziamo per la vostra preziosa partecipazione, e vi salutiamo con affetto.

DIPARTIMENTO DONNA

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