La Cassazione, sentenza n. 18168 depositata oggi, ha respinto il ricorso contro la reintegra di un dirigente licenziato dopo indagini pervasive per supposta infedeltà

Fino a che punto può spingersi un’azienda nei cd, “controlli difensivi” nei confronti dei propri dipendenti? La Corte di cassazione, con la sentenza n. 18168 fa il punto sullo stato attuale di normativa e giurisprudenza italiana ed europea. La Sezione Lavoro ha respinto il ricorso di una banca contro la reintegra di un proprio dirigente licenziato dopo tre contestazioni disciplinari con le quali, nel 2018, gli era stata addebitata “una condotta di insubordinazione e di violazione dei doveri di diligenza e fedeltà nonché dei generali principi di correttezza e buona fede per avere intrattenuto rapporti e contatti con soggetti riferibili a realtà imprenditoriali in concorrenza e per essersi sottratto ad un accertamento tecnico preventivo, facendo così dubitare della genuinità della malattia posta a fondamento delle assenze”.

Per la Corte di appello di Milano tuttavia il monitoraggio aveva riguardato “indistintamente tutte le comunicazioni presenti nel pc aziendale in uso e senza limiti di tempo, dando vita così ad una indagine invasiva massiccia ed indiscriminata non giustificata”, con una violazione del diritto del lavoratore al rispetto della sua corrispondenza ancora più evidente se si considera che “la società non ha provato di aver preliminarmente informato il lavoratore della possibilità che le comunicazioni che effettuava sul pc aziendale avrebbero potuto essere monitorate né del carattere e della portata del monitoraggio o del livello di invasività nella sua corrispondenza”.

La Suprema corte, in linea generale, ricorda che “sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto”.

Riguardo poi la ripartizione degli oneri processuali non può dubitarsi, prosegue la Corte, che incomba sul datore di lavoro l’onere di allegare prima e provare poi le specifiche circostanze che lo hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, considerato che solo tale “fondato sospetto” consente al datore di lavoro di porre la sua azione al di fuori del perimetro di applicazione diretta dell’art. 4 St. lav. Né può trascurarsi il c.d. “principio di vicinanza della prova”.

Ma quali sono gli elementi utili ad orientare il bilanciamento del giudice italiano nei casi di controlli difensivi “in senso stretto”, sono: i) l’informazione del lavoratore circa la possibilità che il datore di lavoro adotti misure di monitoraggio, con la precisazione che la stessa dovrebbe, in linea di principio, essere chiara sulla natura della sorveglianza ed essere precedente alla sua attuazione; ii) il grado di invasività nella sfera privata dei dipendenti, tenendo conto, in particolare, della natura più o meno privata del luogo in cui si svolge il monitoraggio, dei limiti spaziali e temporali di quest’ultimo, nonché del numero di persone che hanno accesso ai suoi risultati; iii) l’esistenza di una giustificazione all’uso della sorveglianza e alla sua estensione con motivi legittimi, con la precisazione che quanto più invadente è la sorveglianza, tanto più gravi sono le giustificazioni richieste; iv) la valutazione, in base alle circostanze specifiche di ciascun caso, se lo scopo legittimo perseguito dal datore di lavoro potesse essere raggiunto causando una minore invasione della vita privata del dipendente; v) la verifica di come il datore di lavoro abbia utilizzato i risultati della misura di monitoraggio e se siano serviti per raggiungere lo scopo dichiarato della misura; vi) l’offerta di adeguate garanzie al dipendente sul grado di invasività delle misure di sorveglianza, mediante informazioni ai lavoratori interessati o ai rappresentanti del personale circa l’attuazione e l’entità del monitoraggio, dichiarando l’adozione di tale misura a un organismo indipendente o mediante la possibilità di presentare reclamo.