Il dilemma finanziario che attanaglia il settore sanitario pubblico italiano è ritornato prepotentemente al centro dell’attenzione nei giorni recenti. Dopo la pubblicazione dell’ultima relazione della Corte dei Conti al Parlamento, il cui contenuto è stato ampiamente riportato sulle pagine dei giornali nei giorni scorsi, emerge chiaramente un fondo sanitario nazionale ridotto di oltre la metà rispetto a quello tedesco e appena superiore alla metà in confronto con la Francia. Questo dato ha dato il via a una vivace polemica politica tra il Governo, che con la Premier Meloni si vanta di aver stanziato un “record di 134 miliardi” per il fondo sanitario di quest’anno, e le opposizioni, le quali denunciano tagli continui al settore.

Si tratta di una problematica strutturale che emerge proprio alla vigilia della presentazione del Documento di Economia e Finanza, il quale però non dispone degli strumenti necessari per fornire una risposta adeguata. Questa questione trascende di gran lunga gli angusti confini della politica quotidiana e del dibattito ad essa associato. Si tratta di una questione che coinvolge un’intera stagione politica e tecnica caratterizzata da brevi mandati governativi, durante la quale deviazioni di bilancio, pensionamenti anticipati e bonus di vario genere hanno stretto i conti pubblici in una morsa sempre più stretta di spesa rigida, limitando di conseguenza i fondi disponibili per settori vitali come la sanità e l’istruzione.

Come spesso accade, sono i numeri a offrire una chiara visione in mezzo al caos delle polemiche, che possono essere più o meno influenzate dalla contingenza politica o economica. Da un lato, è innegabile che il finanziamento pubblico alla sanità sia cresciuto in termini assoluti con la recente manovra, che ha destinato 3 miliardi per quest’anno, 4 per il prossimo e 4,2 a partire dal 2026. Ciò porta il totale del finanziamento sanitario a superare i 136 miliardi quest’anno e a superare i 140 miliardi dal prossimo anno. Tuttavia, in ambito finanziario, i valori nominali hanno una rilevanza limitata, specialmente dopo il grave shock inflattivo degli ultimi decenni. Pertanto, il parametro più significativo è il rapporto con il PIL, che riflette la dimensione relativa del finanziamento rispetto all’economia nazionale.

In questo contesto, emerge una situazione complicata, soprattutto dopo i recenti aggiornamenti da parte dell’Istat, che ha rivisto al rialzo le dimensioni del PIL italiano. Attualmente, il finanziamento sanitario rappresenta circa il 6,27% del PIL, un livello che si manterrà stabile il prossimo anno prima di subire una leggera riduzione al 6,20% nel 2026. Questi sono i livelli più bassi registrati dal 2007 ad oggi. Per tornare al livello del 6,7% del PIL registrato nel 2022, come evidenziato dalla magistratura contabile, sarebbero necessari 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 miliardi il prossimo anno. Numeri ancora più significativi sarebbero richiesti per raggiungere l’8% del PIL, livello considerato essenziale dagli scienziati: per raggiungerlo, servirebbero 32 miliardi quest’anno e 37,4 miliardi il prossimo anno. Tuttavia, queste cifre appaiono al di là delle possibilità considerando i vincoli attuali del bilancio pubblico.

Un altro fattore da considerare è l’inflazione, che ha eroso il valore reale dei finanziamenti nel corso degli anni. Nonostante l’aumento nominale del finanziamento sanitario, che segna un incremento dell’11,4% rispetto all’anno precedente, l’inflazione cumulata degli ultimi tre anni ha ridotto il sostegno pubblico al sistema sanitario nazionale del 2,2% in termini reali. Nonostante gli sforzi della recente legge di bilancio, che ha attenuato questa tendenza, non è stato avviato un processo sufficientemente robusto per far fronte all’invecchiamento della popolazione e alle nuove esigenze e tecnologie nel settore sanitario.

Ufficio Stampa Fsi-Usae