L’8 marzo di questo anno coincide con l’anniversario del primo lockdown: era, infatti, la sera dell’8 marzo 2020 quando si materializzò quel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che, con decorrenza dal giorno successivo, chiudeva l’Italia intera per due mesi, nel tentativo di arginare la ormai dilagante pandemia.
Non a caso citiamo questa coincidenza temporale, perché la perdurante pandemia ha amplificato, come accade spesso in tempi di crisi, molti mali preesistenti, e tra questi emerge con forza la disparità di genere all’interno della società italiana.
Nel 2020 sono aumentati del 6% i femminicidi, favoriti indubbiamente dalla forzata convivenza causata dal già ricordato lockdown, che ha evidentemente fatto saltare i precari equilibri sui quali si poggiavano molti rapporti di coppia.
Ma il problema della discriminazione in danno delle donne va ben oltre il problema, pur gravissimo, dei femmincidi, nel senso che questi rappresentano la degenerazione più estrema ed abietta di un diffuso problema di natura culturale.
E’ indubbio che la posizione della donna nei secoli sia sempre stata subordinata a quella dell’uomo ed ancora oggi, all’alba del terzo Millennio, sono molti gli indicatori di questa situazione: con riguardo al nostro Paese, emerge come il tasso occupazionale femminile del 48,5% sia lontanissimo dalla media europea del 62%, e al riguardo la Banca d’Italia ha dichiarato che se il tasso occupazionale femminile in Italia arrivasse al 60%, il PIL salirebbe di ben 7 punti.
Ma in realtà le donne italiane lavorano anche più di molte colleghe europee, in quanto si prendono cura dei figli, dei genitori vecchi o disabili, dei nonni, in una misura significativa: ammonta al 67% la quota del lavoro di cura svolto dalle donne in Italia, a fronte di una bassissima percentuale (il 12%) di bambini iscritti agli asili nido.
In altri termini, una quota massiccia di lavoro tutto al femminile di madri, figlie, nipoti si sostituisce a quello che spetterebbe ai servizi pubblici: non è un caso che per l’assistenza, l’Italia spende meno della metà della Germania, dove invece detti servizi sono molto più presenti ed efficienti.
Le risorse del Recovery Fund devono allora costituire la grande occasione per invertire questa tendenza nostrana, favorendo l’imprenditoria al femminile (mediante l’accesso al credito e la formazione), investendo nei servizi pubblici assistenziali per anziani e disabili e negli asili nido, al fine di dislocare l’impegno ed il lavoro delle donne, dalla cura e l’assistenza familiare, alla professionalità ed all’imprenditoria, per delineare finalmente un nuovo modello di società, autenticamente paritaria tra uomini e donne, creando innumerevoli posti di lavoro.
Al riguardo, citiamo in conclusione una notizia che giunge da lontano, da un Paese (la Cina) che non possiamo certo definire un modello di democrazia, libertà e parità tra i generi (è al 103mo posto nella graduatoria dei Paesi del World Economic Forum sulla disparità di genere): a seguito del divorzio, ad una donna cinese è stato riconosciuto un risarcimento di 7.700 dollari per i 5 anni dedicati al lavoro di casa ed alla crescita e cura del figlio, ai sensi dell’articolo 1088 del nuovo codice civile, entrato recentemente in vigore.
Si tratta, anche per la Cina, di una cifra piuttosto modesta, ma che evidenzia una aumentata attenzione alla condizione della donna ed una nuova considerazione del suo lavoro svolto tra le mura domestiche.
Auspichiamo che questa mutata sensibilità possa essere patrimonio anche dei nostri governanti, che alle dichiarazioni di intenti, che sicuramente sentiremo in occasione del prossimo 8 marzo, dovranno far seguire azioni concrete e scelte coraggiose, in direzione del superamento del gap sociale, economico, occupazionale esistente tra uomo e donna, che deve passare prima di tutto per una profonda crescita culturale della parte maschile del nostro Paese.
In questo senso, vogliamo segnalare una iniziativa di portata planetaria di cui si farà carico l’Italia, in occasione del prossimo G20, che sarà appunto a guida italiana, e che vedrà riunirsi in parallelo il W20 (Woman 20), il gruppo internazionale di lavoro sull’empowerment femminile quel processo di crescita e di rafforzamento dedicato ad aumentare il senso di potere e di fiducia delle donne nelle proprie capacità.
Alla base di questi lavori, ci sarà la richiesta al Governo di definire la parità di genere come asse strategico del Recovery Plan, attraverso una serie di richieste tra le quali: la creazione di una governance paritaria di uomini e donne per la gestione dei fondi europei, la dotazione del portafoglio al Ministero delle Pari Opportunità, la creazione di asili nido per coprire il 60% dei bambini, l’introduzione del tempo pieno generalizzato per la scuola dell’obbligo, la istituzione del welfare di prossimità per la cura e l’assistenza di anziani e disabili, l’adozione di misure volte ad eliminare progressivamente le differenze retributive di genere, la previsione di investimenti strutturali su scuola e cultura, finalizzati ad abbattere gli stereotipi di genere, in particolare attraverso la revisione e l’ampliamento dei programmi di educazione civica, ed altro ancora.
Si tratta di iniziative concrete, e non di semplici dichiarazioni di intenti, che saranno rese possibili dalla enorme disponibilità di risorse del Recovery Plan, una occasione unica per tutte le Donne del nostro Paese.
Dipartimento Donna FSI-USAE