In carenza del presupposto di abitualità non soggiacciono agli obblighi di fatturazione elettronica i compensi erogati dalla Pubblica amministrazione ai dipendenti pubblici che rendono consulenze tecniche d’ufficio. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la  risoluzione n. 88/E/2015 del 19 ottobre 2015, rilevando come tali compensi debbano ritenersi esclusidal campo di applicazione dell’imposta.

Ricordiamo che dal 31 marzo 2015, la fatturazione elettronica è l’unica modalità di certificazione dei corrispettivi ammessa. Va notato, infatti, che sebbene abbiano previsto una modalità obbligatoria di fatturazione, le disposizioni emanate non hanno introdotto, per quanto qui interessa, nuove ipotesi di operazioni soggette ad obbligo di fatturazione, né abrogato le disposizioni previgenti che già consentivano forme alternative di documentazione delle operazioni imponibili.
In altre parole, regola cardine del sistema è quella che impone di verificare se un’operazione sia rilevante ai fini dell’IVA (soggettivamente ed oggettivamente) e, in caso affermativo, considerare la natura del committente/cessionario: solo qualora egli sia uno dei soggetti legislativamente individuati come “pubblica amministrazione” sarà necessario procedere alla fatturazione elettronica, salve le ipotesi in cui forme alternative di documentazione siano legislativamente previste.

In precedenti documenti di prassi (cfr., in specie, la risoluzione n. 42/E del 2007), si è chiarito che per i medici, dipendenti in rapporto esclusivo, autorizzati ad espletare la consulenza medico-legale a titolo personale al di fuori dell’attività intramuraria, occorre distinguere due eventualità:

  • quella in cui le prestazioni medico-legali siano rese all’Autorità giudiziaria, nell’ambito del procedimento penale;
  • quella in cui tali prestazioni siano rese nel quadro di un giudizio civile o eseguite per finalità assicurative, amministrative e simili.

Nel primo caso (giudizio penale), l’attività di consulenza prestata costituisce esercizio di pubblica funzione.
Il trattamento fiscale dei relativi compensi va, quindi, determinato ex articolo 50, comma 1, lettera f), del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
Siamo di fronte, pertanto, a compensi rientranti tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i quali, tuttavia, in base alla stessa disposizione, perdono tale qualificazione per essere attratti nella categoria reddituale propria del soggetto esercente la pubblica funzione, nell’ipotesi in cui questi svolga attività di lavoro autonomo o di impresa.
Le attività che costituiscono pubbliche funzioni, secondo la previsione del richiamato articolo 50, lettera f), infatti, non sono di per sé idonee a configurare il presupposto soggettivo ai fini IVA, in quanto possono essere ricondotte all’esercizio di attività professionali o all’esercizio d’impresa solo se poste in essere da soggetti che svolgono altre attività di lavoro autonomo o d’impresa.
In tale ultima ipotesi, l’attività di consulenza tecnica d’ufficio nell’ambito di un giudizio penale assume rilievo anche ai fini IVA, con la conseguenza che la prestazione è assoggettata al tributo e deve essere documentata con fattura elettronica.

Quanto al secondo caso – prestazioni rese nell’ambito di un giudizio civile o eseguite per finalità assicurative, amministrative e simili – se l’attività di consulenza è svolta con carattere di abitualità da parte del professionista, il relativo reddito dovrà essere assoggettato al regime proprio del reddito di lavoro autonomo, di cui all’articolo 53 del TUIR.
Ne deriva l’applicabilità della disciplina prevista per i redditi di natura professionale dell’articolo 54 del TUIR che implica, sotto il profilo dell’imposta sul valore aggiunto, non solo il necessario possesso (o apertura) della partita IVA, ma anche l’obbligo di fatturazione elettronica.
Qualora, invece, l’attività di consulenza medico-legale sia prestata in maniera occasionale, i relativi onorari vanno qualificati come redditi diversi – ex articolo 67, comma 1, lettera l), del TUIR – poiché trattasi di compensi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente.
In quest’ultima eventualità, atteso l’esercizio non abituale, le operazioni restano escluse dal campo di applicazione dell’IVA per carenza del presupposto soggettivo previsto dall’articolo 5 del D.P.R. n. 633 del 1972.
Ne deriva che il medico dipendente, in rapporto esclusivo, dell’azienda sanitaria, qualora effettui solo in via occasionale prestazioni medico-legali, non è obbligato all’apertura della partita IVA né all’emissione di fattura elettronica.

L’iscrizione volontaria in apposito albo professionale può costituire indizio di abitualità: «l’abitualità dell’esercizio professionale, non identificabile con la sua esclusività, è insita nella volontaria iscrizione del professionista nell’albo dei consulenti tecnici, costituente titolo per l’affidamento di compiti in modo ricorrente, secondo criteri di rotazione, non in via meramente occasionale o saltuaria» (così Cass. Civ. n. 2297 del 27 marzo 1987).