“Una sanità senza padrini e senza padroni” è il motto della Federazione sindacati indipendenti, la federazione sindacale dell’Usae che ha impresso sul corposo documento presentato in Parlamento con proposte puntuali e concrete migliorative del sistema sanitario nazionale. Si tratta di un importante dossier che nasce dalla Federazione che conosce molto bene il settore essendo maggiormente rappresentativa sul piano nazionale dei lavoratori della sanità pubblica e privata.

“Il Patto per la Salute ha tradito le premesse legislative su cui poggiava” è l’amara considerazione di Fsi-Usae “tradendo così anche le aspettative dei cittadini e dei lavoratori del Servizio sanitario sia a livello nazionale che regionale”, afferma il segretario generale della Federazione, Adamo Bonazzi (Il tradimento maggiore si sarebbe perpetrato con la previsione delle Uccp, le Unità complesse di cura primarie e le Aft, Aggregazioni funzionali territoriali, quali forme organizzative della medicina convenzionata).

A partire da queste premesse, la Federazione ha elaborato un documento con proposte innovative per una complessiva riorganizzazione dell’intero settore, capace di consentire il miglioramento dei servizi conseguendo anche dei risparmi di spesa. In quest’ottica si inserisce anche il disegno di legge per l’istituzione dell’infermiere di famiglia in regime convenzionato.

Dacché il Patto per la Salute è stato siglato, nel luglio del 2014, secondo la Federazione “sanitari e cittadini hanno assistito impotenti alla progressiva scadenza degli adempimenti del Patto sotto il segno di una schizofrenia legislativa che ha permesso alla politica di concorrere a un suicidio assistito del Servizio sanitario nazionale – sostiene Bonazzi – scaricando sempre le proprie responsabilità”.

Il 16 ottobre del 2014, ricostruisce il sindacato, non si prevedono tagli alla sanità ma si chiede alle Regioni di recuperare 4 miliardi; nel febbraio 2015, dopo oltre 4 mesi di consultazioni le Regioni, rinunciano all’incremento del fondo sanitario di oltre 2 miliardi previsto dal patto; a luglio 2015 la Conferenza Stato Regioni raggiunge l’intesa per 2.352 milioni di tagli alla sanità per il biennio 2015-2016. “La cronistoria dimostra – sostiene il segretario Bonazzi – che la strada intrapresa porta dritto allo smantellamento dell’attuale modello di un sistema sanitario nazionale pubblico equo e universalistico, a vantaggio di un sistema misto che vedrà sempre maggior partecipazione alla spesa da parte dei cittadini e un sempre maggior peso dell’intermediazione mutualistica ed assicurativa ”.  

Una prospettiva diametralmente opposta a quella sostenuta dalla Federazione che dice “basta alla politica dei tagli in sanità” e si schiera a favore di “una sanità universale”, è per l’azzeramento delle consulenze e delle esternalizzazioni, chiede l’adeguamento degli stipendi al costo della vita con standard europei, prevedendo altresì il regime di convenzione diretta per gli infermieri di famiglia.

Nel Patto della salute la Ministra Lorenzin, sminuendo la legislazione appena introdotta, ha preso un abbaglio ed ha messo, di nuovo, il medico al centro della visione del mondo della sanità; per la FSI-USAE è un modo sbagliato di concepire le cose e alla federazione sembra  davvero impossibile che, in questo paese, sia trascorso inutilmente quasi un quarto di secolo da quando nel lontano 1994, ha  impegnato duramente le forze governative e parlamentari dell’epoca per ottenere i profili professionali sanitari che ha poi dovuto difendere nei tribunali dall’arroganza  delle associazioni dei medici e degli altri dirigenti che pretendevano di bloccare il corso della storia e cancellare il riconoscimento professionale degli operatori sanitari. Per questo, il segretario generale della Federazione sostiene: “Bisogna abbattere quel tetto di cristallo che è stato posto sopra le professioni sanitarie  garantendo la piena fruibilità delle leggi  e il pieno accesso alla dirigenza alle professioni sanitarie che oggi sono schiacciate da questa visione antiquata e sbagliata. Qui non si mette in discussione la professionalità dei medici nella diagnosi. Ma la diagnosi è una cosa e la direzione un’altra.  Qui diciamo in modo chiaro e netto che  quando si parla di organizzazione e di management  del lavoro  i signori medici non possono pensare di essere in pole position, e non possono credere di avere una sorte diritto divino in tal senso. Quando si parla di direzione organizzativa i medici stanno sulla medesima linea di partenza delle altre professioni;  che al pari loro devono avere uguale  possibilità di andare a dirigere una unità operativa, un dipartimento, un presidio o finanche un’azienda.  E,  se questo significa dover anche riformare medicina e chirurgia  non sarà la morte di nessuno.  Certamente anche le altre professioni debbono sapere che, allo stesso modo, anche la loro laurea specialistica non li pone in posizione di privilegio. Non si può chiedere ad una professione di acquisire la laurea per esercitare e poi trattarla da analfabeta nella programmazione organizzativa e legislativa del sistema”

Per FSI-USAE, insomma, si deve rimettere in discussione l’organizzazione del servizio sanitario, bisogna rivedere totalmente i Piani Sanitari Regionali e la programmazione dell’organizzazione sanitaria che c’è dentro e bisogna creare specifici percorsi di management sanitario a cui, in pari condizioni di partenza, tutte le professioni sanitarie possano accedere. La valorizzazione delle competenze e delle capacità professionali deve essere valorizzata in modo stabile dentro il sistema organizzativo del servizio sanitario nazionale che in Italia è di tipo federale e quindi delegato alle Regioni.