Al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede –

Al Capo Del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria –

Al Direttore Generale del Personale e delle Risorse del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria –

Sanità penitenziaria: un disastro annunciato!

Chi opera con un profilo medico-infermieristico all’interno dell’istituzione penitenziaria sa che non si tratta di un normale contesto di cura.

Le figure professionali dell’Amministrazione penitenziaria, a differenza del passato e prima della riforma del 2008, erano coese nell’obiettivo finale del raggiungimento del benessere dei reclusi; oggi i lavoratori sono divisi non solo dalle competenze, ma anche dalla mission , in quanto i datori di lavoro sono i più disparati: aziende sanitarie locali, cooperative appaltatrici, graduatorie a tempo determinato e indeterminato, turni e presidi H24 realizzati  con pochissime risorse umane.

Il servizio per la cura e il trattamento delle dipendenze soffre cronicamente di insufficienza di risorse; i numeri degli psicologi e degli psichiatri per i detenuti tossico/alcol dipendenti sono insufficienti e  mettono in difficoltà l’intero istituto penitenziario perché la maggior parte dei ristretti soffre di patologie già all’atto d’ingresso in carcere: Altri a causa della desocializzazione e degli effetti della vita trascorsa in ambienti malsani, sviluppano  malattie e disturbi di ogni tipo.

La riforma del 2008 nasce per garantire le medesime prestazioni sanitarie anche per la popolazione detenuta, ma è chiaro che se l’Amministrazione penitenziaria era solita mantenere un modello uniforme in tutta la penisola con medici specializzati e formati sia sull’ordinamento penitenziario che sul regolamento di esecuzione, oggi ci ritroviamo modelli disorganici, non uniformi in termini di qualità e quantità delle prestazioni fornite, con grande sperequazione tra nord e sud Italia.

Questi, sono elementi obiettivi di difficoltà che si aggiungono ai gravi problemi della sanità nazionale. Tra l’altro non si comprende il motivo per cui, pur riconoscendo l’indipendenza della sanità penitenziaria, non sia stato pensato un sistema di ambulanze o trasporto dei ristretti garantito dal servizio sanitario della regione di riferimento. La funzione del poliziotto avrebbe dovuto essere, in questo caso, di mero presidio di accompagnamento del recluso ammalato.

L’aggravio delle trasferte, con i relativi costi economici, è rimasto un onere del nucleo traduzione e piantonamenti del dipartimento amministrazione penitenziaria.

Si evidenzia la disponibilità di capitoli di bilancio, che potrebbero essere utilizzati per percorsi formativi sia del personale che dei detenuti.

I poliziotti devono certo garantire la sicurezza anche in ambito ospedaliero, ma senza l’aggravio dell’accompagnamento. Esso può rendersi necessario solo nel caso di una pericolosità sociale accertata della persona, desunta dal profilo indicato dai provveditorati regionali nelle cartelle personali.   

Rimane auspicabile un rientro della sanità penitenziaria nelle sfere dell’Amministrazione rimarcando il senso del ruolo dei professionisti, preparati a collaborare all’esecuzione penale anche   in considerazione del fatto che i dirigenti sanitari conservano in ogni contesto quell’autonomia decisionale, che è strettamente connessa al corretto esercizio della propria professione.

Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

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