Quando si guarda al futuro, inevitabilmente il nostro pensiero va alle generazioni più giovani, ai nostri figli e nipoti, rispetto ai quali abbiamo tutti delle grandi responsabilità, che possiamo riassumere nella semplice domanda: quale mondo gli stiamo lasciando?

Mai come in questo periodo, caratterizzato da una pandemia che ha mostrato tutta la fragilità degli attuali sistemi economici, sociali, sanitari a livello planetario, lo scenario che si profila per il prossimo futuro è stato così fosco.

Ai nostri ragazzi è negata da oltre un anno la frequenza della scuola, sostituita da una improbabile metodologia a distanza che li depriva del rapporto umano quotidiano con gli insegnanti, con i compagni, con le strutture scolastiche ed universitarie, in una parola, li chiude in una bolla artificiale, nell’illusione che il rapporto virtuale che si instaura sulla rete possa surrogare quella che è l’essenza stessa della vita.

E dopo la scuola e l’università, cosa lasciamo ai nostri giovani? Cosa offre loro il mercato del lavoro, quali concrete possibilità hanno di inserirsi nel contesto sociale e produttivo del Paese, come potranno acquistare la loro casa, creare una famiglia, avere dei figli?

Quanto è emerso in questi ultimi mesi in sede di politiche del pubblico impiego lascia senza parole: da un lato si sottolineano le croniche carenze degli attuali organici, con la conseguente necessità di procedere a assunzioni massive, anche per assicurare il ricambio generazionale di una categoria di lavoratori con un’età media largamente oltre i cinquanta anni; contestualmente, si propongono contratti a termine di tre, massimo cinque anni, come se le esigenze della pubblica amministrazione fossero esauribili in un brevissimo arco temporale, che servirebbe a malapena a smaltire il lavoro arretrato (giustizia docet).

E’ appena il caso di ricordare come la stabilità del proprio lavoro costituisce per ogni essere umano, il pilastro sul quale costruire la propria vita e progettare il futuro, non solo professionale: non si tratta della celebrazione del c. d. posto fisso ma semplicemente della constatazione che un apparato complesso come la pubblica amministrazione necessiti di organici stabili nel tempo, formati da giovani preparati, specializzati e motivati, e non di precari facilmente ricattabili dal miraggio di un lavoro senza futuro.

Giovani precari, dal futuro incerto, possono diventare facile preda di chi può offrire loro pericolose scorciatoie per facili e cospicui guadagni, la certezza del lavoro è sinonimo di legalità, sempre e comunque.

Per questo continueremo a batterci per il diritto sacro al lavoro, che non è soltanto un mezzo di sopravvivenza, ma rappresenta la piena realizzazione di ogni essere umano cui attribuisce il suo posto nel mondo, mentre contrasteremo ogni forma di precarietà che uccide la dignità del lavoratore e costituisce l’humus su cui germinano il ricatto, il favore, la corruzione.

Ambasciata dei Diritti e dei Doveri del Parlamento Internazionale della Legalità

Il Coordinatore Nazionale FSI-USAE

Paola Saraceni

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