Il 26 ottobre si è svolto l’incontro sul rinnovo del contratto del personale del Comparto Funzioni Centrali, nel corso del quale l’ARAN ha sottoposto all’attenzione delle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative una nuova bozza dello stesso.

Ancora una volta, l’incontro è stato povero di risultati, laddove tutti i protagonisti presenti si sono limitati a recitare la loro parte.

Dal canto suo, l’ARAN ha avanzato le sue proposte, del tutto insoddisfacenti perché vincolate alle risorse stanziate dal Governo che sono largamente insufficienti a garantire il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori delle Funzioni Centrali, a dispetto dei demagogici proclami, con i quali tutte le forze politiche promettono aumenti finalizzati a compensare l’inflazione crescente insieme con la riduzione della pesantissima tassazione, la quale grava sulle buste paga dei dipendenti pubblici.

L’ipotesi sul tavolo prevede viceversa un nuovo sistema che definisce i cc.dd. differenziali stipendiali e sgancia dalla retribuzione tabellare una percentuale importante dello stipendio, con il rischio concreto di livellare verso il basso le retribuzioni, se paragonate ai valori delle fasce economiche garantiti oggi dalle progressioni.

Di contro, le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, sono lontane dall’avanzare concrete proposte in favore dei lavoratori.

Crediamo che questo non sia certamente il modo migliore di tutelare gli interessi dei Pubblici Dipendenti in un momento decisivo come quello attuale, ove si sta discutendo del rinnovo del contratto congelato da molti anni.

Gli incrementi stipendiali, a parere della scrivente, devono essere previsti in misura consistente ed inseriti nella retribuzione tabellare, in misura tale da livellare le retribuzioni dei dipendenti statali italiani con quelle dei loro omologhi europei, anche ai fini del trattamento pensionistico.

Altro tema su cui è necessario contrastare con forza l’orientamento dell’amministrazione, è quello del lavoro agile (smart working), con particolare riferimento all’ipotesi che prevede una fascia di contattabilità che va ad aggiungersi alla fascia di operatività vera e propria, creando di fatto un obbligo di disponibilità per il lavoratore della durata di ben 13 ore (in quanto la fascia di inoperatività è prevista per sole 11 ore).

Una previsione assolutamente inaccettabile, atteso che il lavoro agile deve essere equiparato, nei modi e nei tempi, al lavoro in presenza, per cui ogni prestazione, che superi le 36 ore settimanali va riconosciuta e retribuita come prestazione di lavoro straordinario, comprendendo comunque la pausa pranzo e il relativo buono pasto in occasione del prolungamento dell’orario di lavoro giornaliero oltre le 6 ore.

Ribadiamo che tale forma di lavoro non può avere carattere emergenziale o residuale, atteso che la normativa, che lo disciplina nasce nel 2017 con il preciso intento di permettere ai lavoratori e alle lavoratrici di conciliare i tempi di vita e di lavoro, con particolare riguardo ai genitori di figli piccoli, ai pendolari a lunga percorrenza.

Al riguardo, si evidenzia che l’amministrazione dovrà fornire la strumentazione necessaria ed adeguata per consentire ai lavoratori la prestazione da remoto o, in carenza di risorse, potrà permettere a chi ne è provvisto di utilizzare la propria, naturalmente nel rispetto dei protocolli di sicurezza e riservatezza previsti.

Crediamo, in conclusione, che sia giunta l’ora di operare un significativo cambio di passo da parte dell’amministrazione, che in sede di rinnovo contrattuale deve restituire ai Pubblici Dipendenti la dignità perduta da anni, riconoscendo una retribuzione, che consenta loro di arrivare alla fine del mese.

Ma è indispensabile che detta accelerazione venga operata anche dal Sindacato, che in tutti questi anni, forse per la disabitudine alla contrattazione e alla lotta, ha lasciato che lo stereotipo dello “Statale nullafacente” di ichiana[1]memoria continuasse ad alimentare il dibattito sui mass media e


[1] Il giuslavorista Pietro Ichino scrisse nel 2006 il libro dal titolo “I nullafacenti”, epiteto con il quale identificava una larga fascia di pubblici dipendenti, accusati di non lavorare e di percepire indebitamente lo stipendio.

all’interno della politica, arrivando ad influenzare le scelte di quest’ultima, che hanno pesantemente penalizzato l’intera categoria di quelli che una volta erano riconosciuti come “fedeli servitori dello Stato”.

  Il Coordinatore Nazionale Paola Saraceni

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