Il Coordinamento della dirigenza penitenziaria della FSI-USAE, nel rappresentare le istanze dei dirigenti che svolgono la funzione di direttori penitenziari, di direttori degli uffici detenuti e trattamento nei Provveditorati, di dirigenti delle strutture per i detenuti minorenni e negli uffici dell’esecuzione penale esterna e di quanti, Generali di brigata del Corpo degli Agenti di Custodia, si occupano precipuamente di formazione, sicurezza penitenziaria e della movimentazione delle persone detenute, è al fianco del mondo dell’Avvocatura, riconoscendosi nelle sue denunce pubbliche che, ormai da anni, segnano la frattura esistente tra la Giustizia invocata dalla Costituzione e quella invece realmente praticata nelle aule giudiziarie e nelle carceri.

La somma di gravissimi errori e la scarsa valutazione delle conseguenze che talune decisioni scellerate, compiute in passato, da parte di quanti hanno trattato il mondo penitenziario con supponenza, oppure con approssimazione, o peggio ancora con una visione ideologica, piuttosto che ideale e costituzionalmente orientata, sta mostrandosi in tutta evidenza e quanto, in verità, emerge a tratti è solo una sbiadita immagine di quanto, ancora di più grave, potrebbe, purtroppo, accadere.
Francamente, sconcerta che il nuovo governo (che, però, ogni giorno lo è sempre meno) ancora mostri di non rendersene conto, forse perché assicurato da quanti hanno solo la competenza della chiacchiera e la personalità di yesman ed il cui scopo è soltanto quello di preservare dei privilegi, senza dar conto di tutti gli insuccessi sistematicamente realizzati.
Non finiremo mai di stancarci nel rappresentare che il peggio di oggi non è frutto di adesso, bensì la perfetta maturazione di errori e incapacità amministrative che si sono maturate, progressivamente, nel tempo, mentre si avvicendavano, come modelle che fanno un défilé, i diversi Capi Dipartimento, provenienti tutti dalla magistratura, i loro vice e la corte di esperti del “vuoto doloroso” penitenziario.
Sono passati invano diversi lustri e, probabilmente, non uno, si sottolinea NON UNO degli istituti penitenziari della Repubblica può essere dichiarato “a norma” (tanto per essere chiari); nel frattempo, però, le condizioni di vita delle persone ristrette sono, sempre di più, peggiorate, idem quelle di lavoro degli operatori penitenziari tutti.

Ma nessuno pagherà, se non forse, ove non se ne accorgeranno per tempo, gli ultimi politici che hanno afferrato il testimone, in una spaventosa corsa a staffetta dove, ad ogni cambio (distanza, ormai, misurabile attraverso il numero di persone detenute suicidatesi e non solo quelle), non un innocuo bastone viene passato di mano ma, al contrario, un candelotto di dinamite pronto ad esplodere.
Gli AVVOCATI denunciano il vero, loro sì che conoscono il mondo delle carceri ! anche quello ad essi sussurrato con vergogna, nella riservatezza dei colloqui, dai propri assistiti o dai loro familiari.
Le nostre carceri sono, infatti, divenute l’icona della continua umiliazione e deprivazione che i detenuti sono costretti a subire, nonostante lo straordinario impegno a migliorare lo stato delle cose che le famiglie professionali, in quota parte rappresentate dal Coordinamento della Dirigenza Penitenziaria della FSI-USAE, incessantemente pongono in essere, insieme a tutti gli altri operatori “laici” e di polizia penitenziaria che non abbiano abbandonato, soprattutto, le carceri.

E’ solo di oggi, ma davvero si spera che si tratti di una fake-news, la notizia che l’amministrazione centrale starebbe disponendo l’assegnazione di nuovi dirigenti penitenziari, pescati dalla graduatoria di “Consiglieri penitenziari”, preferendoli, senza valida scrematura ed esame delle competenze, a quanti, invece, siano già dirigenti penitenziari, e senza che sia stato annunciato un regolare interpello aperto a tutte le famiglie professionali prima annunciate, per la copertura di ben quattro posti di direttore dell’Ufficio Detenuti e Trattamento presso i Provveditorati Regionali, un tanto ex D.lg. n. 75, conv. in Legge il 10-8-2023, n. 112.

Ora è da comprendere come mai si stia attuando tale scelta e la modalità, così come mai non si sia inteso spiegare al legislatore la specialità del lavoro penitenziario, soprattutto in taluni incarichi e uffici.
Possibile che al DAP non si sia compreso che il lavoro penitenziario, soprattutto in taluni ambiti di responsabilità, abbisogni di capacità ed esperienze professionali davvero maturate, assolutamente NON presenti in giovani colleghi semmai ancora “corsisti” ?
Sono gli uffici prima accennati di particolare delicatezza: è da quegli uffici che prendono le mosse le ispezioni amministrative, allorquando accadano fatti gravi all’interno delle carceri (suicidi di detenuti, sommosse, rivolte, etc.), oppure che si predispongono le istruttorie ed i provvedimenti di trasferimenti dei detenuti, soprattutto allorquando siano dettati da ragioni di sicurezza, o che si occupano dei rapporti interistituzionali con le amministrazioni regionali, con gli enti di formazione, con il mondo scolastico e le università, gli enti locali, con la magistratura di sorveglianza.

Di regola, fino ad oggi, questi incarichi erano ricoperti da dirigenti provenienti dalla carriera dei funzionari giuridico-pedagogici, quindi da operatori che avevano maturato reali esperienze sul mondo delle carceri, nonché dotati di particolare sensibilità sui temi dell’osservazione scientifica della personalità dei detenuti e sul trattamento rieducativo.

Comprensibile sarebbe stato che, di fronte a vacanze organiche, si effettuassero prima degli interpelli aperti a tutti i dirigenti penitenziari già in servizio, la maggior parte dei quali con decine di anni di lavoro in prima linea sulle spalle, e solo in subordine, ove non si trovassero candidati in numero sufficiente, “aprire” ai nuovi venuti, pure al fine di salvaguardali in qualche modo dai rischi amministrativi che ne potevano derivare; il tutto con la massima pubblicità istituzionale e trasparenza.

Invece, se la notizia (si spera davvero che possa essere una grande bufala) fosse vera, si sarebbe fatta una scelta sconsiderata e pericolosissima, banalizzando le competenze speciali che sono anche il risultato di esperienze già fatte, tra l’altro in un momento in cui le carceri sono in ebollizione e avrebbero esse, soprattutto, bisogno di direttori titolari e di vice.

Neo dirigenti che non hanno mai visto le carceri e che nulla semmai sanno di questo mondo complesso, verrebbero, perciò, impiegati per una delle attività più delicate dell’amministrazione penitenziaria, attività dalle quali possono discendere conseguenze le più divere, sia in capo agli operatori penitenziari che delle persone detenute.

Al riguardo, se questa esplosiva indiscrezione fosse vera, è da comprendere come sia stata generata, perché si sia arrivati a questo punto, di chi sia la paternità, nonché se sia stata data doverosa informativa alle OO.SS. della Dirigenza Penitenziaria, pure per avviare il necessario e doveroso confronto e convenire su una procedura che tenesse conto delle storie professionali e delle capacità di quanti avrebbero voluto e potuto validamente concorrere.

E’ stata originata da un input politico oppure presa, d’iniziativa, dalla direzione generale del personale o dallo stesso Capo del DAP, semmai per mettere una pezza ad una mancata programmazione degli organici, conseguenza degli inevitabili e facilmente individuabili pensionamenti di quanti, dirigenti, occupavano quelle posizioni di grande responsabilità amministrativa ?
Vorremmo capirlo, pure per evitare che si possa insinuare il dubbio che lo Stato, ed in esso il Ministero della Giustizia, che più degli altri dicasteri dovrebbe essere l’icona della Legalità, sia tornato ad esercitare strumenti di gestione dubbi, che agli occhi degli operatori penitenziari che soffrono nelle carceri e negli uffici, tronfi di carichi enormi di casi da trattare, sembrino dimenticare i principi, altrimenti solo teorici, di trasparenza e di buona amministrazione.

Alla luce delle considerazioni fatte, pure per rasserenare il clima e “cambiare” l’aria che si respira nei piani alti dell’amministrazione, richiamandoci alla civile manifestazione di dissenso dell’Ordine Forense, NON ci sarebbe sgradita, “de iure condendo”, attraverso una modesta modifica delle norme attuali, di considerare al più presto la possibilità che l’incarico, di natura politica, di Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, proprio a motivo della sua delicatezza, possa essere conferita ad un AVVOCATO, purché di consolidata esperienza in ambito penale.

Sarebbe un bel colpo di scena e richiamando Filippo Tommaso Marinetti, ed il suo libercolo “Spagna Veloce e Toro Futurista”, certamente vi sarebbe “Subitaneo terrore – Tremano le logiche” ma, forse, e sarebbe meglio, anzitutto, per l’Italia delle carceri, si inizierebbe una nuova storia.
Sicuramente un provetto avvocato penalista non farebbe più danni di quanti l’abbiano preceduto in quell’incarico, ma già saprebbe come funzioni un Carcere, cosa faccia un UEPE, cosa sia un ricovero urgente in ospedale, quali garanzie di riservatezza debbano essere assicurate al ristretto nei colloqui con i difensori, quali attenzioni occorra dedicargli in termini di salute, se tossicodipendente, folle o tutte due le cose, come possa esercitare la sua fede religiosa, come sia necessario che mantenga i propri obblighi derivanti dalla responsabilità genitoriale, quali garanzie debbano essergli riconosciute in termini di equa retribuzione ove impiegato alle dipendenze dell’amministrazione o di imprese private, etc. etc.
Cosucce, in fondo, ma se non le si conoscono sono mine vaganti.

D’altronde, se un Avvocato può essere Vice Presidente del CSM, perché mai non potrebbe ricoprire la funzione di Capo del DAP ? Sarebbe una figura laica, che sa di giurisdizione e di diritti, che sa di carcere e di processi e non per sentito dire…

Il Coordinatore Nazionale
Enrico Sbriglia