Tra gli obiettivi prioritari che il nuovo Governo dovrà perseguire, a partire dall’anno appena iniziato, c’è sicuramente la riforma della Pubblica Amministrazione.

Le ingenti risorse, rese disponibili per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, rappresentano una occasione unica per operare una radicale, quanto indispensabile, riforma della macchina pubblica. Il punto di partenza dovrà essere un non più rinviabile ricambio generazionale tra i circa 3,2 milioni di pubblici dipendenti, la cui età media in Italia supera i 50 anni, ed è la più alta dell’Europa occidentale1 : si tratta di un turnover fisiologico, stimato in oltre di 700mila ingressi da garantire entro il 2025, per compensare altrettanti pensionamenti2 . Questo massiccio avvicendamento di personale andrà realizzato attraverso pubblici concorsi che si dovranno svolgere con le nuove e più agili modalità, in tempi estremamente rapidi, al fine di inserire nella P. A., a tempo indeterminato, centinaia di giovani, preparati e specializzati, secondo le reali esigenze delle diverse amministrazioni, che andranno ridefinite attraverso la riscrittura dei relativi ordinamenti professionali. Non è infatti pensabile rimanere ancorati a profili professionali ormai superati dai tempi e dalle innovazioni tecnologiche, che sono il sintomo di una estrema frammentazione delle funzioni, anacronistica e disfunzionale. Un altro punto fondamentale riguarda la trasformazione del lavoro agile in un istituto contrattuale strutturato, da applicare stabilmente, oltre l’emergenza sanitaria, ormai superata: al riguardo, sarà

1 Dal confronto europeo, i lavoratori pubblici italiani in rapporto al totale non sono numerosi. Oggi in Italia opera nel settore pubblico il 13,4% dei lavoratori, meno che in Francia (che ha 5,6 milioni di dipendenti pubblici, il 19,6% del totale dei lavoratori), nel Regno Unito (5,2 milioni, il 16%,) o in Spagna (3,2 milioni, il 15,9%) ma più della Germania (4,8 milioni, il 10,8% del totale). Nel confronto con questi paesi è più basso anche il rapporto tra numero dei dipendenti pubblici e residenti: in Italia sono il 5,6%, in Francia l’8,4%, in Inghilterra il 7,8% e nella Spagna il 6,8%. https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/notizie-alfabeto-della-pubblica-amministrazione/21-06- 2021/forumpa-2021

2 Sono 741.000 le assunzioni che la Pubblica amministrazione dovrà effettuare entro il 2025: a rivelarlo è l’indagine condotta dal “Sistema informativo per l’occupazione e la formazione” Excelsior, Unioncamere e Anpal. https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/notizie-alfabeto-della-pubblica-amministrazione/05-07-2021/panecessarie-piu-di-700000#:~:text

essenziale contingentare il tempo di lavoro da casa, non potendosi prevedere un impegno del lavoratore che si protrae per l’intera giornata, mentre l’applicazione diffusa di questo istituto (disciplinato, vogliamo ricordare, da una legge che risale al 2017, la n. 81, dunque molto prima dello scoppio della pandemia) permetterebbe a migliaia di lavoratori, soprattutto alle madri di figli minori, di poter meglio conciliare i tempi di vita e di lavoro, nello spirito della normativa citata. Semplificazione e sburocratizzazione sono altri due obiettivi essenziali per una nuova P. A., più rapida, efficiente e vicina ai cittadini: in questo senso sarà essenziale estendere la transizione digitale a tutti i settori della P. A., formando adeguatamente il personale e dotandolo dei necessari supporti informatici. Da questo scenario, non può rimanere escluso un altro punto di primaria importanza: il livello retributivo dei pubblici dipendenti, congelato da un decennio di blocco dei rinnovi contrattuali, rimane estremamente basso, ben al di sotto della media europea, anche dopo i rinnovi dello scorso anno che hanno previsto incrementi stipendiali risibili, lontanissimi dall’adeguare i salari all’attuale vertiginoso aumento del costo della vita. Sulla inadeguatezza dei livelli stipendiali dei pubblici dipendenti, influisce in maniera significativa il fenomeno delle consulenze e degli incarichi affidati a persone esterne all’Amministrazione (le cc. dd. esternalizzazioni): una pratica ancora molto diffusa, che sottrae risorse importanti alle casse dello Stato, molto spesso senza neanche garantire i livelli di efficienza richiesti. Recentemente, la sezione lombarda della Corte dei Conti, per mezzo della delibera 3/2021, ha ribadito che “Le amministrazioni pubbliche devono svolgere le loro funzioni con la propria organizzazione e con il proprio personale. Solo in casi eccezionali – e nei limiti previsti dalla legge – possono ricorrere a professionisti esterni”, evidenziando l’esigenza di agire in un’ottica di contenimento dei costi e di valorizzazione delle risorse interne.3 A puro titolo di esempio, riportiamo l’incremento più sostanzioso della spesa pubblica per le consulenze esterne registrato negli ultimi anni: nel lontano 2014, il costo si impennò di oltre il 60% rispetto all’anno precedente, sfiorando i 1,2 miliardi di euro, con un incremento anche del compenso medio per ogni incarico, che crebbe in un anno da 3.844 a 4.422 euro4 . Più di recente, si osserva che nel periodo di programmazione dei fondi UE 2014-2020, in Italia sono stati dedicati circa 1,4 miliardi di euro all’assistenza tecnica, che consiste nelle attività di preparazione, gestione, valutazione, monitoraggio, audit e controllo: tutti soldi che vanno a società private, per un ammontare di circa 200 milioni di euro l’anno5 .

3 Al riguardo, si evidenzia che il comma 5-bis dell’art. 7 d.lgs. 165/2001, introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75, sancisce il divieto per le PP. AA. “di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative”.

4 https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-02-21/pa-boom-spesa-consulenze-esterne-61percento-2014– 161750.shtml?uuid=AC24tHZC 5 https://www.lavoce.info/archives/72956/perche-la-pa-si-affida-alle-consulenze-esterne/

Il ricorso massiccio alle consulenze esterne nella P. A. ha trovato negli ultimi decenni terreno fertile a causa della riduzione del personale (meno 500 mila unità negli ultimi 30 anni), e nell’aumento dell’età media dei pubblici dipendenti, oggi largamente oltre i 50 anni, con riflessi negativi sulla motivazione e sulle abilità digitali. Questa prassi, ormai consolidata, ha progressivamente depauperato le competenze dei pubblici dipendenti, impedendo la loro crescita, ed ha inciso pesantemente sul bilancio dello Stato: oggi più che mai, approfittando dell’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, occorre dotare la P. A. delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie in linea con le esigenze del terzo millennio, partendo dall’assunzione a tempo indeterminato di nuove figure professionali, da inquadrare e retribuire in modo adeguato. Se si vuole dare un reale impulso alla macchina pubblica, progettando una P. A. efficiente e moderna, sul modello di quelle di alcuni Paesi europei, non si può prescindere dal restituire ai pubblici dipendenti italiani la dignità e l’orgoglio di essere fedeli servitori dello Stato, migliorando concretamente le loro condizioni di lavoro, le possibilità di crescita e di carriera, le loro condizioni economiche. In questo scenario, crediamo opportuno richiedere il ripristino del giuramento di fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione per tutti i dipendenti pubblici, questione non certo formale, ma sostanziale.

Il Coordinatore Nazionale Paola Saraceni 347.0662930 fsi.funzionicentrali@usaenet.org