Nel contesto del pubblico impiego, le questioni legate al lavoro straordinario e al diritto dei dipendenti a essere retribuiti per prestazioni non precedentemente concordate rivestono un’importanza cruciale.
In particolare, secondo quanto stabilito dal parere RAL 202 dell’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) il lavoro straordinario, che è rivolto a fronteggiare situazioni eccezionali e non può essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro, deve essere preventivamente autorizzato dal dirigente sulla base delle esigenze di servizio.
Tuttavia una recente pronuncia della Cassazione contraddice in parte tale tesi facendo emergere alcuni interessanti principi giuridici per quanto riguarda il diritto nel pubblico impiego a essere retribuiti per gli straordinari svolti.
E d’altro canto, in difetto dei presupposti previsti dal CCNL, le ore effettuate dal dipendente di sua iniziativa, senza la preventiva autorizzazione del dirigente, non possono essere retribuite come lavoro straordinario.
Tuttavia la Cassazione, in una sua recente sentenza, ha voluto precisare in maniera chiara quale sia il perimetro di questo regime autorizzativo e, in tal senso, quale ruolo gioca il “consenso” tra le due parti.
In particolare, la Corte, tramite la sentenza n. 27878/2023, ha evidenziato che in alcuni casi, il diritto a ricevere una retribuzione non dipende solo dalla prestazione stessa, ma anche dalla necessità di ottenere specifiche autorizzazioni.
La Corte ha anche specificato che un dipendente non può richiedere un compenso se l’attività è svolta durante l’orario di lavoro regolare.
Tuttavia, il personale deve essere retribuito quando il datore di lavoro chiede prestazioni al di fuori dell’orario normale, configurando il lavoro straordinario.
È importante notare che, secondo i giudici, l’assenza di un’autorizzazione formale non impedisce il diritto al compenso, poiché l’autorizzazione può anche essere implicita, basandosi sul “consenso tacito del datore di lavoro“.
Pertanto la Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente ha il diritto ad essere ricompensato in maniera adeguata per un lavoro effettivamente svolto anche se non c’è stato un accordo esplicito con il datore di lavoro pubblico.

La sentenza